E Matteo Messina Denaro fosse morto?

E Matteo Messina Denaro fosse morto?

2016-06-29T12:30:56+02:00 30th Giugno, 2016|dove sei matteo|

Ci risiamo. Li prendono tutti, lui no. Matteo Messina Denaro, il capomafia della provincia di Trapani, è libero e latitante dal 1993.  La sua cattura ci dicono sempre che è imminente e vicina. Ma il tempo passa, e di Messina Denaro non c’è traccia. Qualche giorno fa è stato arrestato sull’Aspromonte il latitante di ‘ndrangheta Ernesto Fazzalari. Era il secondo della lista dei fuggitivi più ricercati, dopo, ovviamente, Matteo Messina Denaro. Da Renzi in giù, tutti hanno avuto parole di elogio per i carabinieri, che sono arrivati all’arresto del boss della ‘ndrangheta dopo anni di lavoro intenso. Ma, come un convitato di pietra, in tutte le dichiarazioni il sorriso veniva smorzato al pensiero di quel latitante, il numero uno, imprendibile. Imprendibile.

Gli investigatori, che adesso finalmente sembrano muoversi in maniera più coordinata rispetto a poco tempo fa, sanno tutto sulla sua vita, hanno arrestato con accuse diverse tutti i suoi familiari e i collaboratori più stretti (la sorella Patrizia, ill cognato Vincenzo Panicola, l’altro cognato, Gasapre Como, il ramo palermitano dei Guttadauro…) hanno sequestrato i capitali e le aziende del suo portafoglio. Si susseguono le operazioni: da Golem siamo passati a Campus Belli e poi a Eden, 1 e 2, fino a Ermes. Intercettazioni, retroscena, insospettabili aiutanti. Ma di lui, nulla.  Di Messina Denaro neanche l’ombra. C’è chi dice che sia all’estero – ma un capomafia all’estero non è più un boss, è un fuggitivo e basta… –  c’è chi dice che sia addirittura morto.  L’idea non è balzana. Sarebbe un capolavoro di strategia di comunicazione della mafia: Messina Denaro morto, magari per malattia, come avvenuto per suo padre, per il diabete, i reni che non ce la fanno, o un infarto improvviso, e la famiglia (magari la sorella Patrizia, è lei che ha il tratto, il piglio e il portamento silenzioso del vero capomafia) che decide di non fare circolare la notizia, per alimentare una leggenda che serve ad aumentare il prestigio della mafia belicina. Follia? Eppure ieri nell’udienza di appello del processo Ermes, l’avvocato Miceli, che difende Francesco Guttadauro, nipote del latitante (per lui 16 anni in primo grado) lo ha detto: “Dateci la prova che Matteo Messina Denaro sia vivo e faccia il mafioso a tempo pieno”. Ovvero: se nemmeno sappiamo se è in vita, dato che cerchiamo di fatto un’ombra, anche tutti coloro che per ora sono stati condannati per essere suoi “aiutanti” rischiano di essere vittime della stessa leggenda metropolitana che abbiamo alimentato.   “Dateci la prova – ha continuano Miceli  – altrimenti Guttadauro sarà un uomo da bruciare per offuscare l’interminabile fallimento investigativo“. Si può essere braccio destro di qualcuno che non sappiamo neanche che sia vivo?

Oggi Messina Denaro dovrebbe avere 54 anni. Di questi, 23 li ha trascorsi da latitante: era il 2 Giugno 1993 quando sfuggì all’arresto. E’ stato condannato per diverse stragi, comprese quelle di Firenze e Roma, per decine di omicidi, per estorsione e – ovviamente – per associazione mafiosa. L’ultimo suo segno di vita sono i pizzini recuperati nel covo di Bernardo Provenzano, a Montagna dei Cavalli, nel 2006. Sempre che li abbia scritti lui. Anche lì, che mistero: un italiano perfetto, quasi aulico, ricco di citazioni e considerazioni dotte nelle lettere con il professore Antonino Vaccarino, ingaggiato dai servizi segreti per fargli il trappolone. E un italiano rozzo, stentato, incerto per le comunicazioni con Provenzano…

Poi nulla. Solo congetture. O gente che dice che l’ha visto, ma più per darsi un tono – come quel povero consigliere comunale di Castelvetrano, Lillo Giambalvo – che per altro. L’ho visto in Canada, l’ho visto a Caracas, l’ho visto in una canonica, l’ho visto in chiesa, l’ho visto a caccia, l’ho visto con il suo elicottero.  Perché Messina Denaro, vivo e fuggitivo, fa comodo a tanti. Alla mafia baldracca e consunta che si fa credere ancora potente, a chi può millantare di averlo visto, nascosto, aiutato, perché così può avere un credito, e forse, anche alla stessa malmessa antimafia, sia quella di opere che quella di concetto, che inseguendo Messina Denaro, concentrando gli sforzi sulla sua ombra, ha l’alibi per non occuparsi di altro, ad esempio di quella borghesia mafiosa che qui a Trapain conosciamo bene e che di Cosa nostra non sa più che farsene, perchè ne ha sostituito il modus operandi e il patrimonio di relazioni…. E’ un pensiero eretico, certo, osceno: Messina Denaro, da grande ricercato a grande alibi. Ma per il grande assente, ormai non possiamo escludere più nulla. Di sicuro si sa solo che lo cercano. Poi, nulla.

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Giacomo Di Girolamo
Giacomo Di Girolamo, giornalista. Mi occupo di criminalità organizzata e corruzione in Sicilia da più di 20 anni. Sono direttore della radio più ascoltata della provincia di Trapani, Rmc 101, e di un portale molto letto in Sicilia, Tp24. Miei articoli sono usciti su Repubblica, Il Sole 24 Ore, Domani. Collaboro anche con Linkiesta.  Sono autore della biografia del boss Matteo Messina Denaro: L’invisibile (un'edizione aggiornata è uscita nel 2023), di Cosa Grigia (il Saggiatore 2012, finalista al premio Piersanti Mattarella), Dormono sulla collina (il Saggiatore 2014), Contro l’antimafia (Il Saggiatore, 2016).  Per Laterza ho scritto "Gomito di Sicilia" (2018), per Zolfo "Matteo va alla guerra" (2022) e "Una vita tranquilla" (2004). Per le mie inchieste ho vinto nel 2014 il Premiolino, il più importante premio giornalistico italiano, e, nel 2022, sotto l'alto patronato della Presidenza della Repubblica, il Premio Nazionale "Paolo Borsellino". Ho raccontato la mia vita in un podcast per Audible, "L'isola di Matteo".