Aumenta in appello la condanna per la sorella di Messina Denaro

Aumenta in appello la condanna per la sorella di Messina Denaro

2016-10-11T07:36:39+02:00 11th Ottobre, 2016|dove sei matteo|

La Corte d’appello di Palermo (presidente Raimondo Lo Forti) ha condannato a 14 anni e 6 mesi di carcere Anna Patrizia Messina Denaro, sorella del boss latitante Matteo Messina Denaro, confermando inoltre i 16 anni inflitti, in primo grado, al nipote Francesco Guttadauro dal Tribunale di Marsala il 31 marzo 2015. Entrambi sono stati ritenuti colpevoli di associazione mafiosa (la sorella del boss, in primo grado condannata a 13 anni, per concorso esterno) e tentata estorsione a Rosetta Campagna, una delle eredi di Caterina Bonagiuso, madrina di battesimo di Anna Patrizia. Il processo è scaturito dall’operazione antimafia “Eden” (13 dicembre 2013). Sempre in primo grado, tre anni erano stati, invece, inflitti a Vincenzo Torino per intestazione fittizia di beni, oggi condannato a 4 anni, mentre dall’accusa di associazione mafia fu assolto Antonino Lo Sciuto e da quella di favoreggiamento Girolama La Cascia, per l’accusa vittima di estorsione. Adesso, la Corte d’appello ha condannato Lo Sciuto a 13 anni e mezzo di carcere, ordinandone l’immediato arresto in aula. Confermata l’assoluzione della La Cascia. Lo scorso 13 giugno, il Pg Mirella Agliastro aveva chiesto 16 anni e 4 mesi di carcere per Anna Patrizia Messina Denaro, la conferma della pena per Guttadauro, 12 anni per mafia per Lo Sciuto (o in subordine 6 anni per concorso esterno), 4 anni per Torino e 2 anni per La Cascia. Per Antonino Lo Sciuto, ex direttore tecnico dell’impresa “Bf costruzioni” di Giovanni Filardo, cugino di Matteo Messina Denaro, ha pesato in maniera decisiva la testimonianza resa, lo scorso 23 maggio, dal “dichiarante” Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del boss. “Intendo dire tutta la verità, cosa che non ho fatto nei confronti del mio amico e coimputato Lo Sciuto – affermò Cimarosa – Fino ad ora ho sminuito le sue responsabilità, ma lui ha fatto le stesse cose che ho fatto io, essendo sempre in mia compagnia e accompagnandomi ovunque. Per cui, se io sono stato dichiarato colpevole, deve esserlo pure lui”. Cimarosa (anch’egli coinvolto nell’operazione Eden e condannato a 5 anni e 4 mesi con l’abbreviato) ribadì di essere stato spinto a cambiare vita per sete di giustizia. Aggiungendo di avere prospettato la sua scelta anche a Lo Sciuto, che però non lo ha voluto seguire, così come altri coimputati. Ha raccontato, inoltre, di essere stato, dopo l’arresto di Filardo, il punto di riferimento della famiglia mafiosa di Castelvetrano. Ha, poi, ripercorso quello che sono state le attività criminali compiute, spiegando che non è mai stato formalmente affiliato e che per questo era convinto, prima del suo arresto, di non essere un mafioso. Solo successivamente ha compreso che, avendo fatto affari e sistemato contrasti di natura mafiosa, era stato di fatto anche lui un mafioso. Poi, fu sottoposto al fuoco di fila di domande degli avvocati Celestino Cardinale (legale di Lo Sciuto e Patrizia Messina Denaro) e Luigi Miceli e Giovanni Castronovo (difensori di Francesco Guttadauro). E non sono mancati momenti di tensione, placati dal presidente Lo Forti. Tensione scaturita dalle contestazioni dei legali, che cercarono di far rilevare “divergenze” con quanto affermato in precedenza da Cimarosa. Su domande dell’avvocato Castronovo, che ha invitato il “dichiarante” ad assumere un contegno meno polemico verso chi lo stava interrogando, Cimarosa disse che era Francesco Guttadauro a mantenere i contatti con lo zio Matteo, essendo peraltro il suo nipote del cuore, ma che era lui (Cimarosa) a incontrare i mafiosi della zona e a dirimere eventuali contrasti, sui quali poi riferiva a Francesco Guttadauro. Il boss, infatti, a quanto pare, non voleva che il nipote si occupasse direttamente di fatti di mafia. Cimarosa, dunque, avrebbe fatto da “scudo” a Guttadauro junior. Infine, Cimarosa dichiarò di non aver mai incontrato Matteo Messina Denaro (“Lui non incontra nessuno” ha detto), ma che ricevette solo una lettera con la quale questi lo ringraziava per tutto quello che stava facendo. I legali della difesa hanno, infine, cercato di metterlo in difficoltà sollevando dubbi sulla “compatibilità del suo ruolo di mafioso con una sua precedente condanna per assegni a vuoto”. Cimarrosa rispose: “Avvocato, ci sono tante cose che non si dovrebbero fare per essere mafiosi, ma che si fanno ugualmente. Pensi che Matteo Messina Denaro ha due figli fatti con una donna che non è sua moglie”.

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Giacomo Di Girolamo
Giacomo Di Girolamo, giornalista. Mi occupo di criminalità organizzata e corruzione in Sicilia da più di 20 anni. Sono direttore della radio più ascoltata della provincia di Trapani, Rmc 101, e di un portale molto letto in Sicilia, Tp24. Miei articoli sono usciti su Repubblica, Il Sole 24 Ore, Domani. Collaboro anche con Linkiesta.  Sono autore della biografia del boss Matteo Messina Denaro: L’invisibile (un'edizione aggiornata è uscita nel 2023), di Cosa Grigia (il Saggiatore 2012, finalista al premio Piersanti Mattarella), Dormono sulla collina (il Saggiatore 2014), Contro l’antimafia (Il Saggiatore, 2016).  Per Laterza ho scritto "Gomito di Sicilia" (2018), per Zolfo "Matteo va alla guerra" (2022) e "Una vita tranquilla" (2004). Per le mie inchieste ho vinto nel 2014 il Premiolino, il più importante premio giornalistico italiano, e, nel 2022, sotto l'alto patronato della Presidenza della Repubblica, il Premio Nazionale "Paolo Borsellino". Ho raccontato la mia vita in un podcast per Audible, "L'isola di Matteo".