Marsala e il concittadino Michele. Il problema non è Licata in sè, ma il Licata in me…

Marsala e il concittadino Michele. Il problema non è Licata in sè, ma il Licata in me…

2015-11-30T17:55:47+01:00 30th Novembre, 2015|diario|

Riflessione in due parti sul maxi sequestro di beni all’imprenditore di Marsala Michele Licata. Una vicenda che non riguarda una persona e le sua aziende, ma la bella comunità lilibetana tutta. Ecco perchè.

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 L’avete visto “The wolf of Wall Street”? E’ un film di Martin Scorsese del 2013, con Leonardo Di Caprio nei panni del re delle truffe finanziarie a New York. Basato su una storia vera, il film spiega meglio di mille analisi economiche cosa c’è alla base del crollo dell’economia di questi ultimi anni: un esercito di truffatori, caproni che hanno creato bolle speculative enormi per arricchirsi a dismisura, violando tutte le leggi.
L’altra sera lo stavo riguardando in tv, poi mi sono appisolato sul divano. E ho fatto un sogno. Una specie di adattamento locale della sceneggiatura. Nella mia testa il protagonista di questa trama (che da “Wolf of Wall Street”, in italiano: il lupo di Wall Street,  si trasformava in “L’evasore di Fossarunza”) era il nostro concittadino Michele Licata. Anche questo film, tutto nella mia testa, è ispirato ad una storia vera. I sogni, si sa, non si ricordano,  però una scena mi è rimasta in testa:siamo nello studio di un commercialista, il nostro protagonista, il concittadino Michele, parla con un professionista, che gli sta facendo vedere la sua dichiarazione dei redditi che ha appena compilato per lui:
“Allora, Michele meo, st’anno ficimo 10.000 euro come reddito,  va bene…
– “Mii…10.000 euro a’ dichiarare…ricco sugno! (risatine)
– “Unn’è che potemo fare ogni anno 5000 euro … sennò, cà a Finanza ti spunta…”
– “U capii…certo, ma magari 8000 euro…si putiano fare”
– “Mii….mi tratti come un salumere….(ride, strizza l’occhio )...E va bene, e facemo 8000 ….(e strappa il foglio con la dichiarazione appena compilata) ….ti chiamo domani ed è pronta”.

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Dal sogno passiamo alla realtà dei fatti. Comincio questa mia lunga riflessione in due parti sul sequestro di beni per 127 milioni di euro all’imprenditore nostro concittadino Michele Licata, titolare delle più importanti strutture alberghiere del nostro terrirorio, citando due intellettuali del nostro tempo.

Il primo è Gaber, il signor G.
Giorgio Gaber, ai tempi del berlusconismo rampante disse una cosa: “Il problema non è Berlusconi in sè, ma il Berlusconi in me”.
Con la sua solita lucidità eretica, Gaber aveva colto un punto, sugli italiani, su tutti noi: che il problema dell’Italia mica era Silvio Berlusconi, ma tutto l’insieme di desideri inconfessabili, ambizioni viscerali, così terrene e così invidiate, che Berlusconi suscitava (e suscita, orsù) in ognuno di noi: la ricchezza infinita, la bella vita, il potere comprato facile, senza pudore, senza vergogna.

Il secondo intellettuale è, vabbè, Ciccio Timo.
Il quale, l’altro giorno, commentando il maxi sequestro nei confronti del concittadino Michele, che dichiarava ogni anno al fisco redditi tra i 5.000 e i 10.000 euro, mi fa: Licata ha 52 anni, tu quando avrai la sua età, anche se avrai un reddito un po’ più alto non potrai avere mai neanche un decimo di tutta la sua ricchezza. Pensaci.

E già. Qui si coglie il tema.
Che è questo, facendo sintesi: il problema non è Michele Licata in sè, ma Michele Licata in me.

E sorrido leggendo in queste ore i soliti commenti pelosi, le prese di distanza, le congratulazioni vive alle forze dell’ordine per l’importante operazione, gli ammonimenti, le bocche meravigliate nella posa delle labbra a culo di gallina (che è l’espressione che ci riesce meglio).
Sorrido perché penso non all’imprenditore Michele Licata in sè, appunto. Ma ai cento Michele Licata (cento? magari mille) che si aggirano per Marsala e che coltivano l’ambizione di riprodurre in scala quello che il concittadino Michele ha fatto in grande grazie al suo lungo curriculum criminale, per usare un’espressione della Procura.

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Spesso si pensa ai reati finanziari o di tipo economico utilizzando gli stessi schemi mentali che applichiamo ai fatti di sangue: un tale è ucciso da un colpo di arma da fuoco, si risale all’arma, all’autore, si cerca il movente, stop.

Applichiamo questo schema anche alle truffe, o alla corruzione. C’è un delitto, e un colpevole. Il grande errore, in queste poche ore che ci rimangono di sconcerto (poi tutto tornerà alla normale accidia dei nostri giorni), è pensare all’imprenditore nostro concittadino Michele Licata come ad unastuto volpone che da vent’anni raggirava in mille modi la Guardia di Finanza.
E invece non è così. Licata non è un fuggitivo, nè un furbastro come Arsenio Lupin o il protagonista di “Prova a prendermi”. Non è neanche una macchietta, un Giufà.
Nessuno ha provato a prenderlo, il concittadino Michele , perché nessuno lo ha cercato.  Nessuno lo ha voluto fermare. Nessuno lo ha mai voluto anche solo biasimare.
Anche perchè , e qui volevo arrivare, non siamo di fronte a un delinquente. Siamo di fronte ad unsistema criminale.
Un sistema criminale dove c’è un professionista che prepara le pratiche per i finanziamenti pubblici per gli alberghi. Solo 7milioni di euro mi pare che sia il finanziamento ricevuto con l’ultima pratica. Senza vergogna.
Un sistema criminale dove c’è un commercialista che fa una dichiarazione di 5000, 8000 euro l’anno all’imprenditore miliardario. Senza vergogna.
Un sistema criminale dove ci sono decine di imprenditori che fanno fatture gonfiate se non finte per giustificare le spese e permettergli di ottenere i contributi pubblici. Senza vergogna.
Un sistema criminale dove ci sono il geometra, l’architetto, l’ingegnere, che hanno fatto nel tempo le pratiche – che so – per il caseificio trasformato in hotel a Petrosino, per il deposito per le biciclette diventato tabaccheria. Senza vergogna.
Un sistema criminale dove ci sono tutti i funzionari dei Comuni, della Soprintendenza, della Regione, degli altri enti che hanno messo il loro visto a progetti finti, a volte fatti con il copia – incolla, incuranti di devastazioni e divieti in essere. Senza vergogna.
Un sistema criminale dove ci sono gli altri, coloro che sapevano, hanno sempre saputo,  ma si giravano dall’altra parte, perché conveniva, perché mangiavano un po’ anche loro, perché era un modello di “spirtizza”, quella del concittadino Michele, tutta siciliana, tutta da invidiare.

Se vuoi ammazzare uno, basta trovare una pistola. Bang.
Se vuoi frodare 120 milioni di euro, hai bisogno di tanti complici, appoggi altissimi, dappertutto, devi sapere come oliare il sistema, farlo funzionare bene. E hai bisogno soprattutto di un contesto compiacente, come il nostro, brodo primordiale per esperimenti criminali di ogni tipo. E il bang non si sente.

Vi sembra che ci sono andato giù pesante? Non avete ancora letto il seguito. A domani.

About the Author:

Giacomo Di Girolamo
Giacomo Di Girolamo, giornalista. Mi occupo di criminalità organizzata e corruzione in Sicilia da più di 20 anni. Sono direttore della radio più ascoltata della provincia di Trapani, Rmc 101, e di un portale molto letto in Sicilia, Tp24. Miei articoli sono usciti su Repubblica, Il Sole 24 Ore, Domani. Collaboro anche con Linkiesta.  Sono autore della biografia del boss Matteo Messina Denaro: L’invisibile (un'edizione aggiornata è uscita nel 2023), di Cosa Grigia (il Saggiatore 2012, finalista al premio Piersanti Mattarella), Dormono sulla collina (il Saggiatore 2014), Contro l’antimafia (Il Saggiatore, 2016).  Per Laterza ho scritto "Gomito di Sicilia" (2018), per Zolfo "Matteo va alla guerra" (2022) e "Una vita tranquilla" (2004). Per le mie inchieste ho vinto nel 2014 il Premiolino, il più importante premio giornalistico italiano, e, nel 2022, sotto l'alto patronato della Presidenza della Repubblica, il Premio Nazionale "Paolo Borsellino". Ho raccontato la mia vita in un podcast per Audible, "L'isola di Matteo".