Il problema dei rifiuti in Sicilia e la mancanza di una vera riforma che nel tempo si indirizzasse ad una impiantistica pubblica, è il risultato di una governance quasi sempre ostaggio di alcuni imprenditori che hanno stoppato il normale processo di evoluzione nell’ambito della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti e la risoluzione degli stessi problemi.
Tutto questo, purtroppo, è avvenuto con la responsabilità e a volte la compiacenza della politica, con la conseguenza che l’unico esito possibile dell’intero ciclo dei rifiuti resta ad oggi il massiccio conferimento nelle discariche private, tranne che per l’impianto di Bellolampo.
E’ questa la conclusione della relazione sul ciclo dei rifiuti della commissione antimafia dell’Ars. Un lavoro di oltre sei mesi che ha visto 52 audizioni tra governatori, assessori, dirigenti, magistrati, giornalisti, comitati civici e sindaci. Al lavoro d’indagine della Commissione Antimafia dell’Ars sono state dedicate trentuno sedute, dall’8 ottobre 2019 al 26 febbraio 2020, sono state acquisite dalle D.D.A. siciliane e dalle altre procure dell’Isola tutti gli atti giudiziari tra richieste del PM, ordinanze e sentenze del gip, sentenze dei tribunali.
La Commissione Antimafia ha acquisito le ultime relazioni semestrali prodotte dalla D.I.A. sulla Sicilia e le relazioni finali delle Commissioni parlamentari d’inchiesta che nel corso degli anni hanno sviluppato indagini sul ciclo dei rifiuti in Sicilia.
«Abbiamo ricostruito vent’anni di scelte politiche ed amministrative – dice il presidente della Antimafia, Claudio Fava – per capire quali fossero le ragioni d’un sistema ancora fortemente imperfetto che prevede, come unico esito possibile, il conferimento finale alle grandi discariche private».
“Le responsabilità dei governi e dell’amministrazione regionale sono gravi“, aggiunge Fava. “Abbiamo ascoltato presidenti, assessori che per vent’anni, con pochissime eccezioni, hanno di fatto abdicato alla loro funzione di indirizzo politico – Fava – rendendosi invece disponibili ad un sistema di interferenze e di sollecitazioni che ricordano le vicende legate al sistema Montante“.
La relazione nella parte finale si conclude con un’urgenza che è anche un auspicio: “Rendere la gestione del ciclo dei rifiuti in Sicilia una risorsa produttiva ed economica ed al tempo stesso un’occasione di dignità civile collettiva”, ribadendo che per farlo è necessaria “una risposta delle istituzioni e della politica rapida, alta e ferma alle pratiche corruttive, al prevalere degli interessi privati, a certe inerzie della funzione amministrativa”.
Riguardo all’intreccio e l’interferenza di Cosa nostra in tutto il sistema dei rifiuti in Sicilia, la Commissione riprende le parole del Procuratore Aggiunto di Palermo Roberto Scarpinato in audizione presso la Commissione parlamentare nazionale Barbieri: “L’organizzazione mafiosa è incisivamente intervenuta per acquisire il controllo dell’intero ciclo economico dello smaltimento dei rifiuti urbani in tutta la Sicilia, ha progettato di intervenire sull’intero piano regionale di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti urbani, per plasmarlo secondo i propri interessi, predisponeva essa stessa i progetti e i piani, che poi venivano accettati a scatola chiusa dagli enti pubblici e fatti propri” .
Alla relazione finale sui rifiuti della Commissione Antimafia dell’Ars, con una nota pubblica ha replicato, la società Catanzaro Costruzioni Srl, proprietaria di diversi impianti per il trattamento dei rifiuti. La società contesta il metodo di lavoro adottato dalla Commissione, che avrebbe viziato la stessa relazione e le conclusioni che ne ha tratto. Qui la nota della Catanzaro:
“Si sostiene che la richiesta di audizione da parte della nostra società – scrive la Catanzaro Costruzioni – sia stata presentata tardivamente il 10 marzo scorso “ad audizioni concluse”. La realtà è che la Commissione ha deliberatamente impedito le audizioni dei rappresentanti della Catanzaro Costruzioni srl evitando così il contraddittorio: la nostra richiesta è stata infatti inoltrata lo scorso 12 febbraio e, da quella data, la Commissione ha tenuto regolarmente diverse altre audizioni sul tema. Il motivo per il quale, volutamente, ci sia stato impedito il confronto ci sfugge, ma questa decisione rappresenta una sconfitta per chiunque avesse avuto un interesse a conoscere i fatti nella loro completezza”.
“Prendiamo atto infine che, a differenza della maggioranza dei casi citati nella Relazione – conclude la nota della Catanzaro – le indagini penali e amministrative condotte dalle Istituzioni preposte e nelle quali ci è stata data la possibilità di contraddittorio, hanno confermato la regolarità del nostro operato in tutte le sedi”.
EMERGENZA COSTANTE – Uno dei temi più dell’inchiesta sui rifiuti in Sicilia è quello emergenziale che è stato – e che continua ad essere – l’approccio strategico al tema della gestione dei rifiuti in Sicilia. La commissione presieduta da Claudio Fava ha tracciato la genesi storica di quella che viene definita un’emergenza costante, avendo anche cura di evidenziare le scelte di indirizzo politico degli organi di governo via via succedutisi. L’emergenza nell’ambito dei rifiuti ha finito per soppiantare qualsivoglia programmazione.
L’inizio dell’emergenza nel 1999 con il Governo Capodicasa – L’inizio della crisi dei rifiuti in Sicilia si fa risalire a gennaio 1999, durante il Governo Capodicasa al quale, il 31 maggio 1999, il Ministro dell’Interno affida i poteri di commissario delegato del l’emergenza rifiuti. All’epoca il Piano dei rifiuti in vigore in Sicilia era quello del 1989: gli impianti erano prossimi al collasso ed i rifiuti avevano ormai invaso le strade senza che si riuscisse a procedere alla loro tempestiva raccolta e allo smaltimento.
Obiettivo del Governo nazionale era quello di abbandonare il modello di smaltimento basato sulla presenza di una discarica per ogni singolo comune, in favore di un sistema – in linea con quanto previsto dal cosiddetto “Decreto Ronchi” all’epoca vigente – incentrato sulla raccolta differenziata.
Arriva il governo Cuffaro e si pena ai termovalorizzatori… – Nel 2000 il governo Capodicasa viene sfiduciato e a Palazzo d’Orleans, dopo la breve parentesi di Vincenzo Leanza, nel luglio 2001 – con la prima elezione diretta del Presidente – arriva Salvatore Cuffaro cui vengono affidati, come per i predecessori, i poteri commissariali per l’emergenza.
Così il giornalista Antonio Fraschilla, tra le persone ascoltate dalla commissione nel corso delle 52 audizioni, spiega che cosa avvenne con l’arrivo di Totò Cuffaro: “Nel 2001 con il governo Cuffaro si inizia la grande manovra per realizzare i termovalorizzatori, cosa che già era iniziata a farsi in tutta Europa, che si stava facendo nel resto d’Italia… perché in quel momento la stessa Unione europea spingeva verso la valorizzazione energetica. Attraverso i poteri speciali che sono stati dati al governo ed al presidente della Regione Cuffaro, in Sicilia accadono due cose: innanzitutto viene quasi esternalizzata tutta la partita rifiuti dalla macchina burocratica regionale e si crea un’Agenzia per i rifiuti e l’ambiente, la cosiddetta A.R.R.A. L’agenzia è una sorta di corpo esterno, anche se del tutto dipendente dall’amministrazione regionale, ma questo consente di bypassare una serie di norme, di regole che riguardano la pubblica amministrazione, sia per spese, per il personale, e così via. Si inizia questa avventura dei termovalorizzatori con delle mega gare che valgono oltre un miliardo di euro perché il governo Cuffaro decide di realizzare quattro termovalorizzatori per una capacità di incenerimento enorme… come se tutti i rifiuti dovessero andare alla termovalorizzazione senza considerare una differenziata o la possibilità di fare scarti“. Continua…