Compie 25 anni fa la più famosa foto che ritrae insieme Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Era il 27 Marzo del 1992, e i due magistrati si trovavano a Palermo in una conferenza a sostegno della candidatura di Giuseppe Ayala, collega magistrato, alle elezioni politiche. La foto la scattò Tony Gentile, per il Giornale di Sicilia. Fu anche scartata. Dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio divenne la foto simbolo dei siciliani, della loro ribellione contro la mafia. Lo ricorda Attilio Bolzoni oggi su La Repubblica: “Erano lì, in un salone, noi tutti schiacciati contro il muro per ascoltarli. L’occasione era la presentazione della candidatura alla Camera di Giuseppe Ayala, un loro amico che era stato pubblico ministero al maxiprocesso. Le elezioni del 5 aprile 1992, le prime nell’era di Mani Pulite e alla vigilia delle stragi che avrebbero cambiato l’Italia”.
Lucio Luca, sempre su La Repubblica, intervista il fotografo Tony Gentile: “Tony Gentile aveva appena 28 anni il 27 marzo del ’92. Collaborava con il Giornale di Sicilia, venne mandato dal suo caporedattore per catturare qualche immagine di quel dibattito al quale partecipavano, oltre a Falcone e Borsellino, l’ex sindaco di Palermo Aldo Rizzo e il magistrato Giuseppe Ayala, candidato al Parlamento per il Partito repubblicano. Si appostò proprio davanti al tavolo dei relatori e iniziò a scattare. Fino a quella “sequenza 15” destinata a diventare l’immagine della sua vita”.
Per la nostra generazione quella è una foto simbolo. E’ ritornata in una pagina del libro a cui sono più affezionato, Dormono sulla collina. E’ la pagina di Paolo Borsellino che dialoga con Falcone proprio sul perché la lotta alla mafia sia finita così male, e così presto, verrebbe da aggiungere. Per me è una pagina molto importante, perché c’è, in nuce, molto di quello che poi confluirà in “Contro l’antimafia”. Ecco le parole di Paolo Borsellino, tratte da “Dormono sulla collina”.
“Forse lo sai dove abbiamo sbagliat ,Giovanni ? A fare quella foto. Quella che ci vede insieme, vicini e complici, sorridere, parlare dei fatti nostri. È la foto che hanno tutti. Sta nelle scuole, all’ingresso, dietro la scrivania di sindaci e politici, in molte chiese, in aule di giustizia.
Tutti hanno quella foto. Si fanno magliette, poster, portachiavi. Di noi tutti sanno a memoria i nostri slogan: «Chi ha paura muore ogni giorno», «Un giorno questa terra sarà bellissima», «Fresco profumo della libertà».
Ma di noi in pochi seguono l’impegno. Tanto, in quella foto, ci parliamo tra noi, Giovanni.
Quella foto è sbagliata.
Avremmo dovuto farne un’altra, invece. Dove, insieme, alziamo lo sguardo.
E siamo noi a guardare negli occhi chi ci osserva.
Non so in quanti l’avrebbero appesa una foto così. Non è una foto da eroi morti da venerare.
È una foto di persone vive che si interrogano.
Non è una foto che ha come didascalia la parola «Antimafia».
Ha come didascalia la parola «Responsabilità».
Ma quella foto, purtroppo, non c’è.
E la lotta alla mafia è nata sui nostri corpi straziati ed è finita subito dopo, soffocata dalla retorica e dal merchandising. I cineforum, le fiaccolate, i cortei. Le fiction, i film, i fumetti, i romanzi, le miniserie in tv. Le intitolazioni: biblioteche, scuole, aeroporti, piste di sci, strade, viali, piazze…
Chi lo poteva dire: lottare ogni giorno senza riposo, morire da eroi, diventare simboli di una ribellione.
E poi riempire le pagine di Tuttocittà”.