La famiglia mafiosa di Marsala. Le rivelazioni del pentito

La famiglia mafiosa di Marsala. Le rivelazioni del pentito

2020-04-20T09:38:12+02:00 25th Ottobre, 2018|inchieste|

Il reggente di una famiglia mafiosa in provincia di Trapani lo decide Matteo Messina Denaro, il super latitante ricercato dal 1993. Anche a Marsala, anche nella città in cui non restavano più neanche “i rimpiazzi dei rimpiazzi”.

Anche nella città in cui, quando era a piede libero, Messina Denaro e i suoi hanno sterminato gli appartenenti alla famiglia mafiosa che si ribellò ai corleonesi, nei primi anni ‘90. A Marsala negli ultimi 15 anni sono cambiati parecchi capi famiglia. Un clan messo piano piano al gabbio. Blitz su blitz, da Natale Bonafede al padre Nino, ai Rallo. Abbiamo raccontato ieri su Tp24.itcome si è organizzata negli ultimi anni cosa nostra lilibetana. I vuoti di potere, la litigiosità, le faide sventate, gli arsenali pronti all’uso. La decina di Strasatti e Petrosino che voleva tirare le fila di una famiglia ormai ridimensionata. Un assetto venuto fuori dall’operazione antimafia Visir. Un assetto confermato in tribunale a Palermo, dove il Gup con rito abbreviato ha condannato i mafiosi marsalesi a pene per oltre 100 anni di carcere. Si riesce a delineare l’assetto della famiglia mafiosa di Marsala grazie alle intercettazioni e anche grazie ad una gola profonda di primo piano. E’ Lorenzo Cimarosa, il pentito di Castelvetrano, cugino acquisito di Matteo Messina Denaro.

E’ stata una fonte di informazioni delicatissime Lorenzo Cimarosa, il primo appartenente alla famiglia di Messina Denaro che apre bocca e racconta tutto quello che sa. Cimarosa è morto lo scorso anno, e durante il periodo di collaborazione ha svelato molti retroscena che sono stati fondamentali per le ultime operazioni antimafia. Parla anche di Marsala nei suoi interminabili colloqui con i magistrati.

La mafia marsalese raccontata da Cimarosa

Cimarosa era diventato il referente della mafia a Castelvetrano, i parenti più vicini al super latitante erano tutti in carcere, restavano lui e Gaspare Como, altro cugino acquisito di Messina Denaro. Ma piano piano inizia Cimarosa ad avere appuntamenti. Lo va a conoscere ad esempio l’anziano boss marsalese, Nino Bonafede, mentre stanno costruendo l’impianto eolico a Mazara. Un incontro le cui basi sono state gettate in carcere, a Trapani.

Quando Cimarosa va a trovare il cugino Matteo Filardo, incontra, Vito Vincenzo Rallo, capo famiglia di Marsala. Gli si avvicina e dice a Cimarosa che Nino Bonafede, il reggente di Marsala lo vuole conoscere.

Si incontrano infatti una paio di settimane dopo, siamo nel 2011, in un casolare tra Marsala e Mazara. L’anziano boss gli dice che per qualsiasi cosa gli dovesse servire a Marsala ci sono loro a disposizione. Il tramite tra i due, il ponte tra Marsala e Castelvetrano, è Ignazio Lombardo, nipote di Nino Bonafede.

Quando i boss di Marsala si imposero su Castelvetrano per il pizzo

Cimarosa racconta che ha avuto poco a che fare con i marsalesi. La famiglia mafiosa di Marsala appartiene al mandamento di Mazara del Vallo, e quindi era nella città del Satiro il riferimento. C’è un episodio però, in cui il clan marsalese si impone.

Vive di piccole estorsioni la mafia marsalese, una di queste la racconta proprio Cimarosa.

Un giorno avviene un furto a Marsala ai danni di tale Bologna, al quale le imprese di Castelvetrano  avevano fatto lavori per 600 mila euro nel porto di Marsala, dove teneva delle barche ormeggiato, e garantito protezione. Protezione avuta fin quando a comandare c’era Giovanni Filardo, cugino prediletto di Matteo Messina Denaro, finito in carcere.

Una notte Bologna subisce un furto, gli rubano dei motori delle barche.

Cimarosa è al comando, o almeno ci prova. Convoca Ignazio Lombardo, che inizialmente inventa una balla: “E’ stato qualche drogato”. Ma dopo qualche giorno Lombardo dice a Cimarosa che vogliono soldi, che Bologna ad inizio di ogni estate deve pagare 2 mila euro. Non era mai successo. Ma a Castelvetrano le cose non andavano bene, i familiari più vicini a Messina Denaro erano finiti in carcere e chi era rimasto non aveva lo stesso potere. Alla fine hanno dovuto cedere nei confronti della famiglia di Marsala. “E per forza – dice Cimarosa ai pm – noi che potevamo comandare a Marsala, sempre forestieri eravamo. Non avevamo la supremazia di Filardo, che quando parlava lui era come se parlava Matteo Messina Denaro”. Su tutta la faccenda però c’era stato anche il benestare di Francesco Guttadauro, nipote prediletto di Messina Denaro.

La reggenza Bonafede

A Marsala, racconta Cimarosa, la reggenza era quindi in mano a Nino Bonafede in quegli anni, siamo tra il 2011 e il 2012. Ma Bonafede, anziano boss, non poteva gestire tutto. Il suo luogotenente era il nipote, Ignazio Lombardo, soprannominato “u capitano” E quando Cimarosa si trovava nell’impianto eolico che stavano realizzando Lombardo passava sempre. Su Lombardo Cimarosa non ha dubbi: “Chistu è chiddu ca cumannava a Marsala, a parte u zu Nino Bonafede, però tutte le questioni di Marsala se ne occupava lui, fino a quando non è uscito Vincenzo Rallo”.

Il ritorno di Vincenzo Rallo

E il ritorno al comando di Vincenzo Rallo – riferisce Cimarosa – sarebbe avvenuto per volere di Matteo Messina Denaro. “Solo se Messina Denaro cambia opinione si può cambiare. In tutte le zone decide lui chi deve comandare”.

Bonafede e Lombardo restavano al comando fino a quando non sarebbe stato scarcerato Vito Vincenzo Rallo. “Chistu è chiu tinto di so frate”, dice Cimarosa. Vincenzo Rallo è più cattivo del fratello, Vito, ergastolano. Lo conosce, Cimarosa, sono stati imputati nello stesso processo Omega negli anni ‘90.

Cimarosa ha raccontato molte cose delle famiglie mafiose della provincia di Trapani. Le sue testimonianze sono state preziose per ricostruire assetti delle famiglie, affari e come si è trasformata cosa nostra. Una mafia molto più povera, i cui componenti sono vecchi contadini che si impongono per estorsioni e per l’inserimento di aziende amiche negli appalti pubblici e privati. Una famiglia, quella di Marsala, litigiosa, che ha rischiato di sfoderare le armi per dirimere le controversie nate nella decina di Strasatti-Petrosino. La decina più attiva, quella che tira tutta la carretta. E che è finita in cella con l’operazione Visir.

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Giacomo Di Girolamo
Giacomo Di Girolamo, giornalista. Mi occupo di criminalità organizzata e corruzione in Sicilia da più di 20 anni. Sono direttore della radio più ascoltata della provincia di Trapani, Rmc 101, e di un portale molto letto in Sicilia, Tp24. Miei articoli sono usciti su Repubblica, Il Sole 24 Ore, Domani. Collaboro anche con Linkiesta.  Sono autore della biografia del boss Matteo Messina Denaro: L’invisibile (un'edizione aggiornata è uscita nel 2023), di Cosa Grigia (il Saggiatore 2012, finalista al premio Piersanti Mattarella), Dormono sulla collina (il Saggiatore 2014), Contro l’antimafia (Il Saggiatore, 2016).  Per Laterza ho scritto "Gomito di Sicilia" (2018), per Zolfo "Matteo va alla guerra" (2022) e "Una vita tranquilla" (2004). Per le mie inchieste ho vinto nel 2014 il Premiolino, il più importante premio giornalistico italiano, e, nel 2022, sotto l'alto patronato della Presidenza della Repubblica, il Premio Nazionale "Paolo Borsellino". Ho raccontato la mia vita in un podcast per Audible, "L'isola di Matteo".