Il mio debutto da giornalista risale al secolo scorso. Ero ragazzino, frequentavo le medie, e la prima intervista che ho fatto in vita mia, per il giornalino della mia scuola, fu all’allora Procuratore di Marsala, Paolo Borsellino. Ci teneva molto ad incontrare gli studenti e parlare di legalità, un gesto che, ai tempi, veniva visto come qualcosa di “esotico”, fuori dai compiti di un magistrato.
Ma insomma, quella fu la mia prima intervista. E fu un segno.
Alla figura di Paolo Borsellino mi sono, da allora, sentito legato. Ho cercato, in questi anni, di raccontarlo, con responsabilità, evitando l’agiografia e toni da almanacco di certa pubblicistica locale – buona per le ricorrenze e per riverniciare a nuovo antichi potentati – cercando di capire a fondo le ragioni delle sue inchieste, a Marsala, il suo rapporto con la mafia trapanese in particolare, che ho approfondito nel mio ultimo libro, “Matteo va alla guerra”.
Oggi un cerchio si chiude.
Ho appena saputo di aver vinto la XXX edizione del Premio Nazionale “Paolo Borsellino”.
Sono profondamente emozionato e, come mi accade in queste occasioni, non trovo le parole adatte.
La cerimonia si terrà venerdì prossimo, 28 Ottobre, a Pescara.
Il premio viene conferito proprio per “Matteo va alla guerra”, e ringrazio ancora una volta Zolfo Editore per il coraggio che ha avuto nel pubblicare un testo difficile, scomodo, rischioso (per chi lo scrive, per chi lo pubblica, per chi lo legge). Devo dire che, in effetti, tutti i libri di Zolfo sono (felicemente) così.
Sono molto orgoglioso anche per la mia città, Marsala, il cui nome, ancora una volta, porto in alto.
Dedico questo premio alla redazione di Tp24, alla squadra di Zolfo, a tutti coloro che si impegnano, ogni giorno, con responsabilità, per distillare gocce di splendore nel mare della superficialità che ci circonda.
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Incuriosito dall’incontro con Borsellino, mi buttai sui libri, per capirci di più, sulla mafia, Cosa nostra, la storia della Sicilia. Non avevo molto a disposizione, ma mio padre aveva comprato, era la fine del ’91, un libro che si chiamava “Cose di Cosa nostra”, scritto da un altro magistrato Giovanni Falcone, insieme ad una giornalista francese, Marcelle Padovani. Trent’anni e mille libri letti (qualcuno anche scritto … ) dopo, ritengo ancora oggi “Cose di cosa nostra” uno dei testi fondamentali per capire la mafia (e non solo …). Ebbene, il 28 Settembre, con me, a Pescara, ci sarà pure Marcelle Padovani. Una grandissima emozione. Altri fili della vita che si riannodano.