“Ah? Sette mesi e non ha incassato nulla? E casomai nel conto in banca i soldi chi li ha portati? Chi li ha fatti lavorare? Un altro?”
Patrizia Messina Denaro, sorella del latitante Matteo, non era contenta del comportamento di Giovanni Filardo (cugino di primo grado della primula rossa castelvetranese). Questo è almeno quello che riportava il cognato Lorenzo Cimarosa (collaboratore di giustizia, morto nel gennaio scorso a causa di una lunga malattia), intercettato a parlarne in famiglia nel settembre 2011.
“Leva e scava”, diceva Filardo alla moglie e le figlie che erano andate a trovarlo in carcere, sempre nel 2011. Soldi che, secondo gli inquirenti dovevano girare nelle rete di Messina Denaro, per il suo sostentamento e quello dei familiari, dovevano essere messi al sicuro per evitare di essere sequestrati.
Così come l’impresa: “Cambiate pure il nome… ci mettete un nome a piacere – diceva ancora Filardo – il mio nome levatelo… Filardo Giovanni S.r.l. levatelo, metteteci ‘acqua minerale’ ma il nome mio non deve comparire!”
Una prudenza che però non è servita ad evitare, nel 2014, il sequestro di beni per 3 milioni di euro e, pochi giorni fa, la relativa confisca.
Oltre alla villa, simbolo del potere imprenditoriale di Giovanni Filardo, passano allo Stato anche 4 conti correnti, 23 mezzi, sette appezzamenti di terreno e la sua impresa edile.
Un passaggio che non è definitivo perché, come per le condanne, anche le confische devono attraversare i tre gradi di giudizio. Per esempio, quello da 5 milioni di euro relativo a Giovanni Adamo (del quale abbiamo recentemente parlato), è un sequestro preventivo che non è ancora diventato una confisca di primo grado.
Definitiva invece è la condanna del Filardo a 12 anni e 6 mesi per mafia, dopo l’assoluzione in primo grado. Alla quale si aggiunge, con lo stesso provvedimento di confisca, la misura di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di dimora per quattro anni, che scatterà non appena tornerà libero.
Ma chi è Giovanni Filardo?
E’ cugino di primo grado di Matteo Messina Denaro, in quanto figlio della sorella di Lorenza Santangelo, madre del superlatitante.
Arrestato nell’operazione Golem 2 del marzo 2010, secondo gli investigatori “avrebbe curato, insieme agli altri affiliati, attività estorsive, nonché l’approvvigionamento, il reinvestimento e l’interposizione fittizia di valori di capitali di provenienza illecita”. Oltre ad essere accusato “di aver avuto la funzione di collettore e distributore di messaggi da e per il capo mafia latitante”.
Prima che il suo nome finisse nelle intercettazioni di Golem 2, era uno degli imprenditori più in vista della provincia di Trapani, avendo fatto persino i lavori di sbancamento per il nuovo commissariato di Castelvetrano. In quel cantiere, nel 2011, la giornalista di Exit (una trasmissione di La 7) sulla parentela del Filardo si sentì rispondere da chi stava guidando un camion: “Se era cugino di Matteo Messina Denaro me lo dovevano dire le forze dell’ordine”.
Secondo il giudice di Golem 2, “Nell’esercizio dell’attività di impresa, Filardo Giovanni è stato favorito dal vincolo qualificato che lo lega a cosa nostra trapanese e, in particolare, dalle condizioni di assoggettamento che dell’associazione mafiosa sono espressioni tipiche e che consolidano la capacità di affermazione sul territorio del sodalizio mafioso”.
La moglie e le figlie erano finite tutte in galera nel dicembre del 2013 per intestazione fittizia di beni. Era l’operazione Eden in cui, tra gli altri, fu arrestata anche Patrizia Messina Denaro, sorella del latitante e Francesco Guttadauro, il nipote “prediletto”, condannati in primo grado a 13 e 16 anni.
In quel procedimento, a parte quattro anni e quattro mesi per Giovanni Filardo, erano stati chiesti due anni per la moglie Maria Barresi ed un anno e dieci mesi a testa per le due figlie Floriana e Valentina. Qualche giorno fa però l’intera famiglia è stata assolta nell’abbreviato del primo grado di Eden, perché il fatto non sussiste.
Secondo le indagini, la Filardo Giovanni srl era stata costituita in Castelvetrano il 3 febbraio 2006, con la moglie Francesca Maria Barresi ed un capitale sociale iniziale di 10 mila euro (mille euro lui e 9 mila la moglie). Lo stesso Filardo veniva nominato amministratore unico della società, continuando a gestire la ditta individuale omonima di cui all’epoca era titolare.
Il 14 dicembre 2006, la polizia perquisiva la sua villa ed altri locali a sua disposizione perché si sospettava che potesse ospitare il cugino superlatitante.
Da lì, il Filardo, secondo gli inquirenti, si attivava per spossessarsi formalmente dei beni, delle quote della Filardo Giovanni srl e delle relative somme di denaro depositate in un conto corrente.
Ed è in tale conto che, un mese dopo la perquisizione, veniva accreditato un bonifico di 300 mila euro da parte di una ditta (la Cedelt) che più di una volta gli aveva affidato lavori in subappalto. Il giorno dopo le due figlie aprivano due conti correnti presso la stessa banca.
E l’indomani, Giovanni Filardo prelevava dal suo conto 200 mila euro e li versava sui conti delle figlie (100 mila euro ciascuno) che, un mese dopo, acquistavano una villetta da 80 mila euro (valore dichiarato) a Selinunte. Insomma il conto del padre, alla fine del 2007 rimaneva con soli 10 mila euro.
Per quanto riguarda le imprese, gli accertamenti del GICO (il Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata) avevano rilevato, nel novembre del 2007, un aumento di captale della Filardo Giovanni da 10 mila euro ad 84.400 euro. Lui 75.400 euro e la moglie 9 mila.
Il mese successivo, con un contratto di donazione, il capitale sociale veniva ripartito in modo completamente diverso: lui poco più di 4 mila euro e la moglie 80 mila euro.
Il 15 marzo del 2010 scattava l’operazione Golem 2 ed il Filardo veniva arrestato. Già il giorno dopo, la figlia Floriana veniva nominata amministratore unico della società, mentre il 14 settembre dello stesso anno, la società cambia nome da Filardo Giovanni srl a BF Costruzioni srl e qualche giorno dopo veniva programmato il trasferimento delle sue 4 mila euro di quote residue alla moglie.
Il Gup di Palermo però non ha ravvisato il reato di intestazione fittizia e, con la sentenza di rito abbreviato, ha assolto l’intera famiglia (lui compreso) perché il fatto non sussiste.
Quello che colpisce, al di là delle rilevanze penali e delle sentenze, è l’antimafia circoscritta alla forma. E’ proprio quello della SOA, infatti, che consiglia ai Filardo cosa fare per poter continuare a lavorare nell’ambito delle costruzioni (scavi), in modo da non esserne estromessi a causa dell’inopportuna titolarità dell’impresa. Dall’altra parte i sindaci si attengono scrupolosamente alle carte. E se le carte sono a posto, gli appalti pubblici si possono vincere. E’ la legalità, il rispetto delle regole.
In questo modo, a ricadere sui figli non sono le colpe dei padri, ma soltanto le loro aziende. Fin quando però non vengono confiscate.