Quando si parla di sviluppo mancato del nostro territorio, di arretratezza, di ostacoli alla crescita, in questa provincia occidentale della Sicilia, si fanno analisi più o meno approfondite, si citano un po’ le solite cose – il lavoro che manca, lo Stato che non c’è, gli sprechi della Regione – si parla, naturalmente, di mafia.
Ma si dimentica di parlare di casi e storie concrete, cioè di episodi che ci fanno toccare con mano quanto distorto sia lo sviluppo (o il sottosviluppo) a Trapani, di come in pochi si siano arricchiti, e molto, a danno di tanti, cioè della collettività.
E’ bene raccontarle, allora, queste storie. Così almeno nessuno potrà dire un giorno: non sapevo.
E la storia che vi raccontiamo in questa inchiesta a puntate è quella dell’area industriale di Trapani.
Per chi viene da Marsala, è quell’agglomerato un po’ strano di casermoni ed edifici abbandonati, magazzini, capannoni che si incontra prima di arrivare in città.
E’ una zona spesso piena di rifiuti (dicono, le malelingue, che sono i pacecoti che vengono a buttare lì i rifiuti….) mal servita, in parte abbandonata, triste. Adesso è anche una specie di area commerciale, con un supermercati, negozi, cineserie varie.
Perché c’è qualcosa che non va nell’area artigianale di Trapani? E perché è importante raccontare tutto? Ecco la storia.
Nell’area artigianale di Trapani, dicevamo, c’è un po’ di tutto. Mancano forse solo le imprese, cioè le attività produttive vere e proprie. Come mai? E, soprattutto, si può fare?
In punta di diritto, no. Il mostro che è cresciuto alle porte di Trapani è la dimostrazione di quanto distorto sia stato lo sviluppo del nostro territorio.
L’area industriale di Trapani era gestita dal Consorzio Asi, creato con legge regionale 1/84. Questo è stato sciolto dalla Regione Siciliana, come i restanti consorzi in giro per l’isola, quando, qualche anno fa, è stato creato l’Istituto Regionale per lo Sviluppo delle Attività Produttive. Attualmente c’è un commissario, si chiama Gaetano Clemente. Ma la figura che più conta, a Trapani, è quella di Pietro Re, che oggi nell’ Asi / Irsap è il vero nome che conta, il dominus, potremmo dire: è dirigente dell’Irsap ma è anche commissario liquidatore del vecchio Consorzio Asi. Purtroppo Re, nonostante il suo ruolo, si è rifiutato di rispondere alle nostre domande su quanto è avvenuto in questi anni al Consorzio.
L’Asi pubblica sul sito l’elenco delle ditte insediate nella zona artigianale. Lo potete vedere qui o cliccando sull’immagine qui sotto. A leggerlo viene il cuore. Sembra un distretto industriale del nord – est.
Peccato che si tratti, in parte, di aziende chiuse, fallite, o che non hanno addirittura mai iniziato l’attività.
Insomma, più che creare vero e duraturo sviluppo si è assistiti ad una grande speculazione immobiliare, fatta alla luce del sole.
Non è una questione di poco conto. E bisogna spiegarlo bene. Le aziende che vogliono aprire un’attività ottengono dal Consorzio ASi il terreno ad un prezzo politico: si tratta di appena otto euro al metro quadro. L’intenzione è quella di favorire gli insediamenti industriali. Quindi, il terreno è a prezzo simbolico, e poi c’è la possibilità di accedere a tanti finanziamenti pubblici, tra cui, ad esempio, la Legge 448/1992, la più famosa misura in Italia per il finanziamento delle nuove imprese. Chi vuole fare impresa, a queste condizioni, rischia ben poco. Ma d’altronde per lo Stato è importante aiutare la creazione di imprese, perché si crea ricchezza e occupazione. E infatti per avere i contributi c’è una graduatoria che tiene conto di diversi fattori, tra cui le assunzioni previste.
Invece all’area industriale di Trapani è successo ben altro: molti capannoni sono stati costruiti a condizioni di favore. Ma una volta realizzati, sono stati poi svenduti o affittati per ospitare attività commerciali o centri direzionali che nulla hanno a che vedere con le attività produttive e che si possono realizzare solo al massimo nel 10% dell’area. Così è davvero facile: io imprenditore chiedo il terreno, lo compro a prezzo di favore, ottengo i finanziamenti per un’attività di impresa, poi in realtà faccio solo il capannone, e lo affitto. Così siamo bravi tutti.
Oggi nella zona industriale c’è di tutto: Pittarello e Scarpe & Scarpe, la Conad, altri supermercati, Euronics. Ma in quella che dovrebbe essere la sede di un’azienda artigiana, c’è ad esempio il centro direzionale di Energetika Ambiente (l’ex Aimeri) la società che raccoglie i rifiuti in provincia di Trapani. Quindi, io ottengo a prezzo quasi regalato un terreno per creare un’attività industriale, magari prendo anche dei contributi, poi in realtà affitto alla ditta che raccoglie i rifiuti per metterci qualche ufficio e posteggiare i mezzi.
Ci sono immobili che ospitano altri supermercati, come Fortè, altri che sono stati affittati da Vodafone e Wind, persino un autolavaggio. Quanti posti di lavoro si sono persi in questo modo? Il calcolo è davvero difficile a farsi, ma sono tanti.
Alla spartizione dei lotti hanno partecipato tutte le famiglie che contano a Trapani. C’è Mucaria con la Midial e i palazzi Asia, America, Oceania, Europa. La Midial ha chiuso qualche anno fa. Filippo Mucaria nel 2007 ha licenziato ben 117 dipendenti. Non tutti hanno deciso di subire passivamente, e in una sentenza il giudice del lavoro di Trapani ha stabilito che “si è creato un sistema di fusioni aziendale tale da permettere al Mucaria di usufruire di finanziamenti pubblici, vantaggi contributivi, bloccare l’anzianità di servizio dei lavoratori”. Ne abbiamo parlato in un articolo che potete leggere cliccando qui.
Per la Satin della famiglia D’Angelo, invece, i sigilli sono arrivati nel 2013. Cinquantotto gli operai licenziati.
Tra i fruitori c’è Peppone Maurici, imprenditore edile, presidente dello stesso Consorzio Asi ed ex parlamentare regionale. E anche la famiglia Culcasi, con il doppio ruolo – anche loro – di controllori e controllati, essendo stati, nel tempo, i membri della famiglia anche amministratori del Consorzio Asi.
I Culcasi con l’Aurora Group (hanno cominciato producendo uova, adesso sono una holding immobiliare…) hanno condotto alcune tra le operazioni più “spericolate” – dicono gli esperti – all’interno dell’Asi. Hanno ottenuto da decenni alcune aree, hanno realizzato capannoni industriali grazie alle agevolazioni, e poi li hanno affittati: supermercati, negozi di scarpe… Hanno avuto il permesso addirittura di frazionare un lotto e di fare in parte attività industriale, in parte attività commerciale, quando, per legge, all’interno di uno stesso lotto non possono coesistere diverse tipologie di attività.
C’è una legge regionale, la 29/95, quella che regola l’attività delle Camere di Commercio in Sicilia, che contiene un articolo di legge molto importante per questa storia che stiamo raccontando. E’ l’art. 29, che tra gli addetti ai lavori viene chiamato con il nome di “Legge Culcasi”. Introduce un’equiparazione tra attività industriale e commerciale, purchè gli esercizi commerciali abbiano un fatturato di 500.000 euro odierne e almeno cinque dipendenti. Ribadisce il limite del 10% delle aree commerciali all’interno delle aree industriali. Fa una specie di sanatoria per le domande in corso. La norma, come tante cose siciliane, avrebbe carattere transitorio, dato che nel 2012 è entrata in vigore la riforma che ha portato allo scioglimento dell’Asi e alla creazione dell’Irsap. Ma come tutte le cose transitorie, in Sicilia, l’applicazione diventa definitiva…
Assegnazione di lotti nelle aree di sviluppo industriale
(modificato dall’art. 28 della L.R. 28/99)1. In previsione della riforma della normativa relativa alle aree di sviluppo industriale, agli effetti della applicazione degli articoli 23 e 24 della legge regionale 4 gennaio 1984, n. 1, le attività di distribuzione commerciale sono equiparate all’attività di produzione industriale purchè gli esercizi commerciali abbiano un fatturato annuo pari almeno a lire 1.000 milioni ed almeno cinque dipendenti.
2. Per distribuzione commerciale si intende l’acquisto all’ingrosso di beni di consumo, anche durevoli, al fine della successiva vendita al dettaglio anche previa trasformazione o manipolazione dei beni stessi.
3. Le aree destinate alle suddette attività non possono superare il 10 per cento della superficie complessiva di ciascuna area di sviluppo industriale.
4. In sede di prima applicazione, gli originari assegnatari o i soggetti che da questi o da loro aventi causa abbiano a qualsiasi titolo la disponibilità, anche parziale, del lotto hanno diritto, su istanza, (inciso omesso in quanto impugnato, ai sensi dell’art. 28 dello Statuto, dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana) alla riconferma o al mantenimento dell’assegnazione del lotto, a condizione che alla data del 23 aprile 1995, abbiano svolto già tali attività commerciali, anche ove sia intervenuto provvedimento di revoca…
La superficie dell’area industriale di Trapani è di 1.035.978 metri quadrati. Il 10% da destinare ad aree commerciali, tra riconversioni e nuove richieste, è pieno a tappo sin da subito. Nel 2005 per venire incontro ad altre richieste, tra cui quella del Tonno srl, e poi sempre di Culcasi, l’ingegnere Re (determina 49/2005) ricalcola la superficie, si aggiungono nel totale anche le aree destinate a servizi nel totale generale, che sale a 1.270.000 metri quadrati, e pertanto c’è spazio per nuove richieste.
Si va avanti così. Grazie anche ad una legislazione in materia che è confusa, frammentata, si contraddice, e permette pertanto mille interpretazioni, sanatorie, pareri. Chi è nella stanza dei bottoni può muoversi con ampio margine di manovra.
Lo sanno tutti. Culcasi, Mucaria, D’Angelo, Maurici.
Lo sanno bene anche altri imprenditori, la cui iniziativa è davvero senza precedenti.