E’ un Matteo Messina Denaro diverso quello che esce fuori dal processo in cui è imputato a Caltanissetta con l’accusa di essere il mandante delle stragi di Capaci e via d’Amelio.
Per il pm, il procuratore aggiunto Gabriele Paci, intorno alla “latitanza di Messina Denaro, si è costruita la figura di un mafioso che fa affari, che veste Armani, che fa pali della luce come dice Totò Riina nel carcere di Opera a Milano, uno di quella mafia che ha scelto la strategia della sommersione”.
“Il processo invece – afferma Paci – ci restituisce una figura diversa dell’imputato: di un carnefice sanguinario che ha ucciso persone innocenti e bambini, uno stragista. Sono due parti della stessa figura – ha continuato – nel ’92 aveva appena trent’anni quando Cosa nostra sferrò il suo attacco micidiale allo Stato, come risposta alle condanne del Maxiprocesso”.
“La finalità delle stragi del ’92 – continua Paci nella Requisitoria – era quella di condizionare la vita politica del Paese, scegliendo i nuovi referenti politici del paese che potevano tutelare gli interessi di Cosa nostra e Matteo Messina Denaro fu uno dei mandanti di quell’azione di guerra”.
“Non troverete un’informativa, una dichiarazione o una sentenza dalla quale trarre la prova della colpevolezza dell’imputato – ha affermato Paci ricostruendo a inizio udienza il contesto di quegli anni a partire dalla sentenza del Maxiprocesso – qui la prova è frammentata in una miriade di atti ed è complesso ricostruire la colpevolezza del soggetto”.
Iniziamo oggi, in più puntate, il racconto della requisitoria del pubblico ministero Gabriele Paci, che ricostruisce, per definire bene il ruolo di Matteo Messina Denaro, anche quella che è la storia di Cosa nostra e dei suoi rapporti ed equilibri interni.
Legame tra corleonesi e i Messina Denaro – Il pm inizia con il legame tra i vertici della mafia Corleonese e i Messina Denaro. Il rapporto è talmente fiduciario che i Messina Denaro, fin dagli anni ’80, sono i custodi di buona parte dei beni di Riina e di Provenzano. Altro elemento che conferma ciò è anche l’assidua frequentazione da parte dei Corleonesi del territorio del trapanese, eletto da Riina e dagli altri protagonisti della stagione stragista, come luogo sicuro anche dopo le stragi del ’92. Ma anche l’esistenza della Commissione Regionale nel ’92, organo di vertice di Cosa nostra e la sua competenza a decidere in tema di delitti eccellenti e con questo il ruolo di reggente della provincia di Trapani di Matteo Messina Denaro ricoperto dal ’90 o dagli inizi del ’91.
Il passaggio di testimone tra Francesco Messina Denaro e il figlio Matteo – “Sul momento del passaggio di testimone dal boss Francesco Messina Denaro al figlio Matteo non ci sono elementi né evidenze giudiziarie – afferma Paci – . Ci sono solo elementi che sono emersi in questo processo che daranno risposta per il momento in cui collocare il passaggio di testimone. Occorrerà però fornire la conoscenza di quello che è stato l’apporto specifico di Messina Denaro, non solo il fatto di essere il reggente della provincia di Trapani. Occorre nel caso della responsabilità del concorrente morale, che riguardano come nel caso specifico delitti di rilevanza strategica per l’organizzazione mafiosa. Occorrerà accertare e sciogliere ulteriori nodi sulla effettiva conoscenza avuta da parte di Matteo Messina Denaro del piano di attacco alle istituzioni di Riina. E non mi riferisco solo ai due omicidi. Cosa nostra non si limita a decidere solo gli omicidi, ma li inserisce in una strategia di attacco allo Stato. Non era solo voglia di rivalsa nei confronti di coloro che avevano tradito Cosa nostra, ma era l’elaborazione di un attacco e un piano politico contro lo Stato”.
L’adesione alla strategia stragista – “Uno Stato in grave difficoltà e chiamato a scegliere il nuovo Capo dello Stato – continua Paci -. Era un attacco teso a mettere in ginocchio lo Stato e a dettargli le condizioni, e si inseriscono in questa strategia gli obiettivi principali che erano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quindi bisognerà chiedersi se c’era la effettiva conoscenza del piano d’attacco e adesione manifestata a tale progetto quale membro della commissione regionale. E infine se ci fu qualcosa di più da parte di Messina Denaro che irrobustì l’intento di Riina e se sposò la strategia d’attacco con modalità terroristiche”.
Il rapporto tra i Corleonesi e il territorio di Trapani – “Cosa Nostra è su tutto il territorio siciliano. Riina è capo indiscusso e dopo aver vinto la guerra di mafia, è a capo di Cosa nostra e ha una leadership che nessuno mette in discussione. Domina sul territorio di Palermo e sul territorio, ma è di casa a Trapani. Perché questo amore per il trapanese? Perché quelle famiglie sono potenti, e sono alleate storicamente delle potenti famiglie americane dei Magaddino, dei Buccellato, dei Gambino e dei Bonanno, provenienti da Castellammare del Golfo. E’ di importanza fondamentale e i rapporti sono strategici con le alleanze che si iniziano a tessere già negli anni settanta. Riina nell’81 inizia a fare la guerra ai Badalamenti, ai Bontate, agli Inzerillo e ai Di Grado. Ma la guerra che muove Riina non nasce nell’81. Egli inizia il suo “capolavoro tattico”, prima di uccidere Bontate nell’aprile ‘81. Inizia così a tessere alleanze con i paesi. Il boss Di Cristina di Riesi, muore nel ’78 perché denuncia, inascoltato, a Bontate, a Badalamenti ma anche al capitano Pettinaro, che in Cosa nostra sta per accadere qualcosa, i Corleonesi si apprestano a fare la guerra e per questo finisce ammazzato a Palermo nel ’78. Di Cristina viene sostituito con un uomo chiave come Piddu Madonia che diventa il nuovo rappresentante provinciale. A Catania Riina fa uccidere Pippo Calderone e poi nella famosa strage della Circonvallazione uccide anche Ferlito”.
Riina e i rapporti con Mariano Agate e Francesco Messina Denaro – “A Trapani Riina aveva già stretto i suoi legami e aveva acquistato diversi possedimenti a Castelvetrano e a Mazara del Vallo. E Riina è strettamente collegato con i suoi mafiosi di riferimento che sono: Mariano Agate, a quel tempo capo della famiglia di Mazara del Vallo e Francesco Messina Denaro, che è allo stesso tempo capo del mandamento di Castelvetrano e vice rappresentante della provincia di Trapani, a quel tempo diretta da Cola Buccellato”.
L’importanza strategica di Trapani nel piano di Riina – “Cosa ha di importante Trapani per cui bisogna puntellarla, prima di fare la guerra a Bontate, Inzerillo e Badalamenti? A Trapani comandano di fatto i Rimi (Alcamo), i Minore (Trapani) e i Buccellato (Castellammare), tra loro legati con dei matrimoni combinati e a loro volta legati ai Badalamenti di Cinisi e a Stefano Bontate. Riina sa che se vuole vincere la guerra a Palermo deve avere degli alleati che gli permettano di poter sparare anche a Trapani nei vari paesi. Ed è questa la strategia vincente che elabora Riina”.
Inizia la seconda guerra di Mafia anche a Trapani – “Nel 1981 inizia quella guerra di mafia che si estende subito al territorio trapanese. Riina, infatti, capisce che per avere il dominio assoluto di Cosa nostra, deve eliminare tutti gli alleati dei Badalamenti e degli Inzerillo e il 30 settembre del 1981 la guerra si estende a Trapani. Prime vittime illustri sono i fratelli Zummo a Gibellina, e poi il nipote del capo provincia che è Cola Buccellato, a quel tempo detenuto, al quale verrà concesso l’onore delle armi e la possibilità di morire nel suo letto, cosa che non fu concessa al figlio, a tre nipoti e ad un cognato che moriranno nel corso della guerra tra l’81 e l’84. Muoiono tutti quelli che non scappano per tempo, e per quelli che non si trovano cominciano a cadere tutti i parenti, gli amici e i conoscenti. Decapitata la città di Trapani, scalzando i Minore, i Rimi ad Alcamo, gli Zummo a Gibellina, i Buccellato e i Magaddino a Castellammare, gli Zizzo a Salemi. Si affermano in provincia di Trapani invece quelli che tradiscono i Rimi, i Buccellato e i Minore. Riina mette a capo i traditori che hanno aderito alla politica di Riina, e sono Francesco Messina Denaro, Mariano Agate e Vincenzo Milazzo. Nella sentenza del Processo Omega della Corte d’Assise di Trapani del 19/05/2000, i giudici scrivono che in provincia di Trapani, si consacrò l’ascesa definitiva di Riina ai vertici della piramide mafiosa”.