Poco prima di morire, aveva anche scritto al Papa e al Presidente della Repubblica. La lettera non è stata mai inviata. Anna Maria Licari, infermiera marsalese di 58 anni, è morta lo scorso 29 Marzo . “Ma ad ucciderla non è stato solo il tumore – racconta la figlia Nuela – perchè era da anni che lottava e aveva sempre vinto tutte le sue battaglie con il sorriso e la sua voglia di vivere. L’ha uccisa la burocrazia, mia mamma”. Perché l’infermiera Anna Maria, che all’ospedale di Marsala in tanti conoscevano e apprezzavano, è morta con la prospettiva di rimanere nel giro di pochi mesi senza stipendio, senza lavoro, senza possibilità di curarsi.
La vicenda ha dell’incredibile, un’ingiustizia che l’infermiera non tollerava: si era rivolta allo Stato per chiedere di potersi curare, e per tutta risposta gli avevano risposto che non solo non poteva farlo, ma che avrebbe perso lavoro e stipendio, dato che negli anni aveva esaurito tutti i suoi “giorni” utili alla cura.
E’ per questo che un giorno Anna Maria non ce la fa più e scrive a Presidente della Repubblica e Santo Padre. Stampa la lettera, al computer, con un inchiostro verde di speranza: “Mi rivolgo alla vostra grande sensibilità per chiedervi aiuto. Sono una donna sola, malata e disperata. Sono rimasta senza lavoro, tra poco senza stipendio e senza più possibilità di curare la grave malattia che mi affligge”.
Infermiera professionale dall’82 presso l’ospedale di Marsala, Licari comincia il suo calvario nel 1999, quando subisce l’asportazione del seno sinistro per un cancro. Tredici anni dopo, nel 2012, il nemico si ripresenta, e deve subire l’asportazione dell’altro seno, nuovi cicli di radioterapia e chemioterapia. Ma questa volta c’è di più. Non ancora terminato il trattamento, le viene diagnosticata una metastasi al fegato.
La sua battaglia continua, si fa di giorno in giorno più difficile. Solo che mentre prima l’infermiera Licari aveva il suo datore di lavoro, l’Azienda Sanitaria Provinciae (e dunque un ente pubblico, e dunque lo Stato…) dalla sua parte adesso scopre che, con la riforma dell’ex Ministro Renato Brunetta, le cose sono cambiate. E’ lei stessa a raccontarlo nella sua lettera – testamento: “Prima della riforma avevo la possibilità di curarmi, stando a casa, senza che mi venisse decurtato lo stipendio”. Ora, invece “è stata tolta la terapia salvavita per i malati oncologici, è stata tolta anche questa opportunità”. In soldoni, mentre prima i malati di tumore potevano chiedere alla pubblica amministrazione il permesso per curarsi, senza subire decurtazioni o perdita del posto di lavoro, adesso la terapia salvavita non è più considerata come un’assenza per malattia. Vengono ammessi solo i giorni e le ore di assenza per il ricovero in day hospital per il trattamento, per la chemioterapia. Ma il giorno dopo devi tornare a lavorare, indipendentemente dagli effetti collaterali (che sono terribili). Quindi, devi curarti, certo, ma devi anche continuare a lavorare.
La cosa a Licari viene impossibile, perché le cure a cui si sottopone sono talmente invasive da farla stare male, per giorni e giorni. Fa incetta di permessi, giorni di malattia, aspettativa, tutto quello che può avere a disposizione per curarsi. Continua però lo stesso, quando può, ad andare al lavoro, anche perché il suo è uno dei reparti più belli dove un’infermiera possa lavorare: il reparto maternità. Ha fatto nascere una generazione di marsalesi, in tanti la conoscono, sanno della sua malattia, come di certe sue passioni, la pittura, ad esempio, o certi turbanti colorati che si mette per coprire i disastri della chemio. Poi, arriva una prima umiliazione. La direzione sanitaria dell’Asp la allontana dal suo reparto. Con un ordine di servizio Licari viene spostata due volte. Prima nella direzione, nella catalogazione dei reperti infetti, e poi in “patologia clinica”, cioè proprio tra gli stessi referti infetti e i prelievi del sangue che ora deve catalogare, non essendo più in grado, per l’Asp, di fare l’infermiera. “Chi è emarginato deve morire, è questa la logica” confida Anna Maria ai suoi familiari mostrando l’ordine di servizio che manda lei, soggetta a terapia salvavita, in un reparto ad alto rischio di contaminazione. “Spostatemi da qua” chiede Licari ai suoi superiori. La sua domanda non viene presa in considerazione.
Quando capisce che non ce la fa più, chiede il collocamento in pensione anticipato, per motivi di malattia. La legge che glielo permette è la 335 del 1995. Tutto passa dalla Commissione Medica di verifica, istituita dal Ministero dell’Economia. La commissione – quella regionale si riunisce a Palermo – esamina il suo dossier e certifica: è inidonea “al proficuo lavoro”, ma…. la sua pratica per la pensione anticipata va rivista, dopo un anno, il 15 Settembre del 2015. La commissione è cosciente delle metastasi e della aspettativa di vita di due anni che rimane alla dipendente Anna Maria Licari, ma, scrive nel suo rapporto, può fare cure, anche se palliative. Rinviando il riesame del suo caso di un anno, la commissione impone a Licari di non lavorare. Sola e con una figlia da mantenere, Anna Maria Licari viene allontanata dal suo lavoro, ma non può ricevere la pensione prima del Settembre del 2015, quando la commissione esaminerà di nuovo il suo caso. Qualche giorno dopo la comunicazione dell’esito interlocutorio della sua pratica, arriva a casa di Anna Maria una raccomandata: è l’Azienda Sanitaria Provinciale, il suo datore di lavoro, che le fa sapere che, in base alle nuove norme, non le tocca più neanche lo stipendio, perchè deve stare a casa – lo impone la Commissione medica – , ma non ha più giorni di aspettativa a disposizione. Prima le verrà decurtato il 50% dello stipendio, poi non prenderà più nulla, e non avrà altro beneficio economico. Anna Maria Licari si trova in una desolata terra di mezzo: da un lato lo Stato le dice che è troppo grave per poter lavorare, dall’altro lato le dice che, in attesa della pensione, non può ricevere lo stipendio.
“Perchè oltre alla malasorte che si è abbattuta su di me ora si accaniscono le istituzioni? – si chiede Anna Maria nella sua lettera – Perchè si continua a “percuotere” ripetutamente un albero che è già stato percosso abbastanza? Mi sento come quell’albero caduto di cui parlava Verga in uno dei suoi tanti proverbi citati ne I malavoglia: “Ad albero caduto, accetta, accetta”.
Questo abbandono per Licari è la resa.“Lo Stato ha costretto mia madre a non andare più al lavoro – racconta la figlia Nuela – e lo stesso Stato le ha tolto lo stipendio. Poco dopo mia madre è morta, non ha resistito più, è stata un’umiliazione più forte della malattia”. “Se raccontiamo questa storia non è né per rancore né per vendetta – conclude Nuela- ma solo perché speriamo che chi di dovere si renda conto di questo vuoto, di questo corto circuito legislativo, e ponga rimedio, per evitare che altre persone, come mia madre possano esser lasciate sole e rimanere senza stipendio, pur con una malattia grave”.
Non c’è rancore nella storia di Nuela e di sua madre Anna Maria, c’è civile indignazione per quello che è successo, e che potrebbe capitare ad altri.
Qualche giorno dopo la morte della mamma a Nuela è venuto un desiderio: piantare un albero in giardino in suo ricordo. Ad Anna Maria sarebbe piaciuta, questa idea. Un albero, da difendere dai colpi di accetta.