Carcere di Padova, estate 2010. Francesco De Vita, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Marsala, da sei mesi ha cominciato a scontare l’ergastolo per l’omicidio di Giovanni Zichittella, boss ammazzato nella guerra di mafia dell’estate ‘92. De Vita è stato arrestato nel dicembre 2009 dopo dieci anni di latitanza.
Passeggia nervosamente prima di sedersi davanti ai pm. E’ il 23 giugno 2010, De Vita vuole cominciare a parlare, a raccontare tutto quello che sa sulla mafia a Marsala e in provincia di Trapani, sulla guerra di mafia degli anni ‘90 scatenata da Totò Riina, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro, sugli omicidi, i tentati omicidi, le estorsioni, gli affari della famiglia mafiosa durante la sua latitanza, chi lo ha aiutato a rimanere irrintracciabile per 10 anni. Comincia a parlare anche del ruolo di alcuni esponenti di Cosa nostra. Come di Nino Bonafede, arrestato la settimana scorsa perchè ritenuto reggente della famiglia mafiosa di Marsala. De Vita racconta, ma le sue parole non rimangono chiuse nel carcere di Padova. Escono, e arrivano fin qui giù. Fino a Marsala, arrivano alle orecchie dei suoi ex sodali, della sua famiglia, dei suoi figli che appena vengono a sapere che il padre sta raccontando i segreti del clan partono verso il nord per convincero a ritrattare. L’operazione The Witness fa luce anche su questo, sul pentimento di un boss, e il suo pentimento del pentimento. Si consuma tutto in meno di due di mesi. Il boss parla, poi ritratta, poi decide di ricominciare a parlare, poi, il 3 agosto, si decide: “non parlo più”. La decisione arriva dopo la lettera, anonima ma “apparentemente spedita dal figlio” scrivono i pm, arrivata in carcere il 16 luglio: “non farti venire più queste cose in testa perchè non si usano queste cose nella nostra famiglia. Stai attento e non permetterti di fare niente. Con questo ti ho detto tutto”. Il 2 agosto, varcano il cancello del carcere di Padova i figli di Francesco De Vita, Leonardo ed Emanuele, non sanno di essere intercettati. “Che stai combinando? Ma tu ragioni più con la testa? Come cazzo sei combinato?” comincia subito Leonardo, il figlio maggiore. “Ma che ti è presa la testa? Ma ti sei scordato di noialtri? Cosa ti stanno facendo passare? Ma tu lo sai che ci ha gettato in mezzo alla merda a noialtri e chi ci hai rovinati a tutti. Vuoi parlare di quello che ti sta succedendo?”. Il padre racconta ai figli che gli stavano combinando qualcosa dentro il carcere, qualcuno della famiglia di Marsala. “Ma tu lo sai quello che mi stanno combinando qua dentro. Tu lo sai quello che mi ha combinato ‘Asparino Raia? Mi volevano fare ammazzare là dentro al carcere. Che cosa gli è preso a questo con me io nemmeno lo so. Gli ergastolani tutti contro. Non so niente cosa è, senza nessun motivo”. E i figli “Tu non ragioni più con la testa. Cosa ti ha combinato, ti ha combinato, tu queste cose devi fare? Ma tu ci pensavi a noialtri? Tu ti dovevi sacrificare per noialtri. Ti rendi conto di cosa hai combinato?”. Francesco De Vita è, per qualche ragione, preoccupato che gli accada qualcosa in carcere. Si registrano divisioni all’interno della famiglia mafiosa di Marsala. “Se mi mandano dentro la cassa e mi ammazzano…” dice il padre. Il figlio Leonardo ha le idee chiare: “ma lì uno dovrebbe morire con i “cristiani” per queste cose? E si fanno queste cose? Meglio farsi ammazzare…”. Meglio farsi ammazzare che parlare e collaborare con la giustizia.
“Con quale coraggio l’hai fatto? …perché non lo facevi venti anni fa quando avevi tutti piccoli… se avevi intenzione di fare questa cosa… adesso tutti grandi, chi fidanzato, chi sposato… lasciamo ogni cosa per venircene appresso a te…tu devi fare una cosa, noi ti mandiamo l’avvocato e parli con l’avvocato… tu devi ritrattare papà… ritratta tutto quanto… se tu non ritratti tutto quanto ti scordi di noialtri …ti scordi di noialtri e della mamma…ma con quale coraggio hai raccontato le cose dei cristiani… ma con quale coraggio vuoi far rovinare i cristiani?”. Dopo la sfuriata dei figli, De Vita ci ripensa, ancora, “ora faccio la lettera e ritratto tutto…” E così succede il giorno dopo. Nel frattempo alcune cose su Marsala le ha raccontate. Aveva testimoniato, da qui parte The Witness, l’operazione antimafia a Marsala che porta in cella Atonino Bonafede, ritenuto reggente della famiglia mafiosa marsalese, Martino Pipitone, 75 anni, pensionato, pregiudicato di mafia, gli incensurati Vincenzo Giappone, pastore di 54 anni, e Sebastiano Angileri, fabbro di 48 anni. De Vita avrebbe cominciato da Nino Bonafede. Ma sono altri anche i collaboratori che indicano l’anziano uomo d’onore reggente della famiglia mafiosa di Marsala.
Una delle novità di The Witness è proprio quella di delineare, nuovamente, l’esistenza di una consorteria mafiosa a Marsala, dopo gli arresti degli scorsi anni. I boss della provincia hanno a lungo cercato i referenti locali di Cosa nostra, senza trovarli. Dopo l’arresto di Natale Bonafede, figlio di Nino, avvenuto nel 2003 assieme al boss di Mazara Andrea Mangiaracina, e le successive operazioni, i mafiosi constatavano che erano in cella anche “i rimpiazzi dei rimpiazzi”. Che non c’era nessuno a Marsala. Nelle dichiarazioni rese da alcuni esponenti della consorteria viene fuori, invece, che sarebbe stato Nino Bonafede, il reggente della famiglia mafiosa di Marsala. Erano i fratelli Salvo e Sandro Lo Piccolo, arrestati nel 2007, che poco prima della cattura avrebbero “accreditato” l’anziano Bonafede, come reggente. Lo dicono ai Pm Gaspare Pulizzi, reggente della famiglia mafiosa di Carini, e Francesco Briguglio, organico al mandamento di San Lorenzo. Pulizzi, in particolare, ha rivelato che nell’estate del 2007 i Lo Piccolo cercavano un contatto a Marsala attraverso Gaspare Di Maggio, reggente della famiglia di Cinisi, che si sarebbe incontrato con Bonafede. Briguglio ha invece affermato di aver incontrato Bonafede con Di Maggio nel settembre 2007, prima dell’arresto dei Lo Piccolo. I due fratelli al vertice di Cosa nostra palermitana cercavano di accreditarsi oltre Palermo. Salvatore Lo Piccolo, in sostanza, voleva sapere a chi avrebbe dovuto rivolgersi qualora imprese palermitane avessero avuto interesse a fare lavori a Marsala. Bonafede, emerge dalle indagini, fece sapere che per ogni cosa dovevano parlare con lui.