Certamente. Ecco un articolo per il tuo blog personale, che riprende e sviluppa i concetti che hai espresso nei post social, con un tono più approfondito e riflessivo.


La mia Nuova Carta d’Identità e la “Tradizione” delle Querele: Una Riflessione sulla Libertà di Stampa

Qualche giorno fa ho finalmente ritirato la mia nuova carta d’identità. Un piccolo pezzo di plastica moderno, che ha sostituito il vecchio modello cartaceo. Un passaggio che per molti rappresenta un semplice aggiornamento burocratico, ma che per me ha assunto, quasi subito, un significato ben più emblematico. L’ho inaugurata ieri, infatti, con la prima nuova querela.

Sì, proprio così. È stato un momento quasi surreale, direi emozionante nella sua assurdità, come un primo giorno di scuola in cui, anziché lezioni e nuovi compagni, si riceve un atto legale. Un rito di iniziazione alla “nuova” identità, che si lega indissolubilmente a una “vecchia” e persistente realtà del nostro Paese.

Cambiano le carte d’identità, evolvono le tecnologie, ma le denunce, le querele, le richieste risarcitorie contro chi fa informazione indipendente sembrano rimanere una costante inossidabile. È un copione che si ripete, un modus operandi ben collaudato che il potere, in ogni sua declinazione – e non solo in Italia, come ci dimostrano casi eclatanti a livello internazionale – utilizza per esercitare pressione e intimidazione.

Perché parlo di intimidazione?

Non si tratta quasi mai di legittime richieste di giustizia per una diffamazione reale. Nella stragrande maggioranza dei casi, come la mia esperienza e quella di molti colleghi dimostrano, parliamo di querele palesemente frivole, spesso prive di qualsiasi fondamento giuridico. Il loro scopo non è vincere una causa in tribunale (spesso, infatti, si concludono con assoluzioni o archiviazioni), ma logorarti.

Sono azioni mirate a:

  • Farti perdere tempo prezioso: Ogni atto, ogni udienza, ogni trasferta sottrae ore e giorni che potresti dedicare al tuo lavoro giornalistico, alla tua famiglia, alla tua vita.
  • Generare ansia e paura: La prospettiva di un procedimento legale, anche se infondato, è intrinsecamente stressante e può portare a un senso di pressione psicologica costante.
  • Costringerti a spese legali: Difendersi ha un costo, e queste spese, anche se alla fine si è assolti, possono essere significative e rappresentare un onere per giornalisti e piccole testate.
  • Metterti a tacere: L’obiettivo ultimo è spingerti all’autocensura, a “stancarti” al punto da farti desistere dal denunciare o approfondire certe verità scomode.

Questo è, di fatto, un bullismo legalizzato, una forma di spavalderia di chi si sente intoccabile e usa gli strumenti della giustizia per scopi distorti. Un modello ormai tristemente riprodotto su vasta scala, che mina alla base i principi della libertà di informazione e del pensiero critico, pilastri di ogni democrazia sana.

Tuttavia, la “scuola” di giornalismo che ho imparato e che cerco di praticare e insegnare ogni giorno non prevede l’omertà come materia d’esame. Nonostante le difficoltà e l’amaro in bocca che queste vicende lasciano, l’impegno resta incrollabile. La nostra responsabilità, come operatori dell’informazione, è quella di continuare a cercare, verificare e raccontare i fatti, basandoci su atti e documenti, senza piegarci alle logiche di chi vorrebbe ridurre il giornalismo a un megafono del potere.

Questa nuova carta d’identità sarà anche il simbolo di un’ennesima battaglia, ma è anche il simbolo di una determinazione che non vacilla. Perché la libertà di stampa non è un privilegio del giornalista, ma un diritto inalienabile del cittadino. E per quel diritto, continuiamo a testa alta.