A ridosso del voto di Giugno, a Trapani, era circolata una notizia: ben 200 mafiosi erano stati liberati dalle patrie galere ed erano pronti a votare alle elezioni, per inquinare il voto.
Addirittura il portale Tiscali aveva scritto: “200 boss appena scarcerati nella città che sceglie il Sindaco”. Vedete l’immagine qua sopra.
Notizia falsa, avevo scritto, per tanti motivi: non era vera, che è il motivo principale, ma poi, a rigor di logica (e se si conosce e si studia almeno un po’), 200 boss (non semplici mafiosi, ma boss, cioè capi di famiglie mafiose…) non ci sono a Trapani (e neanche in tutta la provincia), non ce ne sono proprio nel carcere di Trapani, e se un boss esce dal carcere non è automatico che abbia possibilità di partecipare al voto.
Ma i miei chiarimenti non servirono a nulla. Perché più alta era la voglia della grancassa dell’antimafia di far apparire la città di Trapani come una specie di ghetto mafioso e la mafia come una grande forza criminale in grado di condizionare il voto. E anche questa mia considerazione fu tacciata di essere intrisa di una certa “mafieria”, come avviene a tutto ciò che non è politically correct per l’antimafia dominante. Tanto che lo sentii dire, se ricordo, pure in un convegno: 200 boss usciti dal carcere a Trapani prima del voto!
Ma quando mai…
A distanza di qualche mese, la relazione della Commissione Antimafia sulle relazioni tra mafia e massoneria (resa pubblica in queste ore) dà ragione a quanto scrivevo, e conferma che si trattava di una fake news.
La commissione, infatti, ricorda nella sua relazione che “attualmente nella provincia di Trapani ci sono 200 fine pena già detenuti per reati di mafia e di traffico di stupefacenti”. Questa precisazione è molto importante, perché la Commissione conferma che non sono stati liberati 200 boss prima del voto a Trapani. Ma che ci sono, più semplicemente, 200 ex detenuti per associazione mafiosa o per droga, non a Trapani, ma in tutta la città. Ed è un dato realistico, e anche un po’ banale, se vogliamo. Per l’associazione mafiosa, infatti, la pena edittale massima, prevista dal codice è sei anni, non c’è l’ergastolo o la pena di morte. Chi è stato condannato a 10 anni nel 2000, adesso è fuori, per dire. Che ci vuole a capirlo?
Eppure, so già che molti leggeranno anche questa nota della Commissione Antimafia non come un chiarimento, ma al contrario, come una conferma della loro delirante ipotesi. Pazienza.
Per quanto mi riguarda, io continuo nella mia battaglia solitaria. Questo chiarimento serve ancora una volta a spiegare come nel campo di certo giornalismo antimafia il sensazionalismo prevalga sempre sulla ragionevolezza, e anziché raccontare ciò che accade, e tentare di decifrarlo, molti giornalisti e opinionisti continuano nella deleteria pratica di raccontare ciò che conviene a loro, alla loro carriera, al magistrato combattente a cui fanno riferimento.