Il surreale servizio della Cnn su Pino Maniaci

Il surreale servizio della Cnn su Pino Maniaci

2016-12-29T20:43:29+01:00 30th Dicembre, 2016|Contro l'antimafia|

Lo scorso Luglio uno dei network giornalistici più importanti al mondo, Al – Jazeera, ha prodotto un documentario sulla Sicilia e la mafia dal titolo “A Very Sicilian Justice: Taking on the Mafia”. Si tratta di un video che in rete è diventato un vero e proprio cult (lo potete vedere a questo link), raggiungendo in poco tempo decine di migliaia di visualizzazioni. Non passa giorno che qualcuno non lo posti sui social con la classica frase di accompagnamento: “Ecco il video che le tv italiane non vogliono farvi vedere”, eccetera. Il fatto è che si tratta di un video tecnicamente ottimo, ma molto banale, nel suo racconto, che fornisce ancora una volta una visione delle cose di mafia (e di antimafia) molto stereotipata. A cominciare dalla definizione del processo sulla cosiddetta trattativa stato – mafia, ormai totalmente sgonfiato, come “processo del secolo”. Il racconto che si fa del lavoro del magistrato Nino Di Matteo è quasi agiografico, a tratti sembra che sia l’unico magistrato onesto e infallibile in Italia in un contesto marcio, e Massimo Ciancimino, dall’altro lato, emerge come una specie di nuovo Buscetta, l’uomo che sta raccontando la verità sul periodo 1991 – 1994. Sappiamo che non è così. Sappiamo ovviamente noi, che cerchiamo di approfondire le cose, di capirle.

In queste ore fa da pendant un lungo e surreale servizio della CNN, si, proprio la CNN, su Pino Maniaci, il giornalista “antimafia” per eccellenza, finito nei guai per alcune presunte richieste estorsive. Potete vedere il servizio a questo link.

«He goes after the mob; now he’s the target» è  il titolo dell’articolo: traducendo un po’ all’impronta è una cosa del tipo “lui che ha perseguitato la mafia, adesso è il bersaglio”. Il lungo reportage è  firmato da tale  Joel Labi. Surreale, quasi dadaista, anche per questo intervallare il testo a brevi filmati.  Maniaci, nel racconto della CNN, è in pratica l’unico giornalista libero in Italia, ha dato la caccia ai mafiosi, ora il “sistema” se la prende con lui. Tutto ciò in un contesto in cui Partinico assomiglia a una città del far west. Il bar frequentato da Maniaci, ci dicono, ha la vetrina con il vetro antiproiettile…

Scopriamo che Maniaci ha fatto arrestare con le sue inchieste diversi boss, che va anche in aula a testimoniare contro di loro… In realtà Maniaci è un personaggio complesso, dalle mille sfacettature, e anche il suo giornalismo – che nella zona di Partinico ha avuto sicuramente grandi meriti – non è tanto di inchiesta, quanto piuttosto di denuncia (a volte anche una denuncia sopra le righe, concentrati più sui toni che sui contenuti), a cominciare dalle vicende che lo hanno esposto sul fronte della cattiva gestione dei beni sequestrati alla mafia.

Ancora una volta, si perde il senso della complessità, per dare un racconto assolutamente deviato. Il reporter sembra più attento al dettaglio dei baffi di Pino che al contesto.  Felice Cavallaro, sul Corriere della Sera, parla di “toni da soap opera” e ritiene che il servizio sia stato fatto “dando conto dei sospetti solo a margine e ignorando fatti eclatanti”. Cavallaro sottoliena “la difficoltà d’interpretazione delle vicende italiane, a volte rilanciate con superficialità e con un approccio elementare destinato a rimbalzare dalle metropoli americane a lontani villaggi del Texas o dell’Arizona secondo il canovaccio di una mafia romanzata stile Padrino, stile Puzo”.

Per Maniaci e soprattutto per il suo avvocato Antonio Ingroia, invece, il servizio dimostra la “serietà” della CNN. Dichiara Ingroia:

“Ci voleva l’azione di una grande emittente fuori dall’Italia che denunciasse la difficile situazione in cui si trova la stampa italiana quando si distacca dall’obbedienza ai padroni, dall’obbligo di rispettare le regole del gioco e dal modo spesso perverso di far passare le notizie, certe notizie, impostate in un certo modo già orientato dall’alto. Pino Maniaci era già stato condannato all’apparire di quanto la Procura di Palermo ha dato in pasto ai suoi colleghi giornalisti, i quali non si sono nemmeno sognati di ipotizzare che sotto poteva esserci qualcosa di diverso da quanto appariva”.

pino maniaci cnn

Pino Maniaci tira le freccette alle immagini dei boss mafiosi durante il servizio della CNN

In realtà c’è molta superficialità nel servizio. Un video correlato al testo, ad esempio,presenta Maniaci come “the mafia hunter”, un cacciatore di mafiosi. Cosa non vera, primo perché un giornalista è un giornalista, non dà la caccia a nessuno, e poi si gioca sull’equivoco del fatto che Maniaci abbia ripreso la scena dell’arresto del boss Domenico Raccuglia, facendolo quasi sembrare come colui che lo abbia catturato…

Io non ho padroni a cui obbedire, e quando devo dire una cosa, la dico liberamente. Conosco la vicenda Maniaci. Ho letto le carte, ne ho parlato con un po’ di persone, soprattutto con il diretto interessato. E con molta gente di Partinico. Maniaci  ha avuto la vita distrutta da una macchina, potente, che qualcuno ha azionato contro di lui. Ma ha anche tante colpe, su come sia rimasto, quanto meno, vittima del suo personaggio. Ingroia, altra vittima di se stesso, non gli fa un buon servizio, quando lo esalta in questo modo. E non ha la lucidità per capire che reportage come quelli della CNN appartengono più ad una categoria da “National Geographic”, svicolano dal ragionamento, dal racconto profondo delle cose, in nome di ciò che fa titolo, dell’animazione breve che diventa gif animata, la foto che acchiappa in rete. Insomma, per la CNN quella di Maniaci è una storia “carina”, nulla più. Nel’era della post – verità, questo modo di raccontare le cose ci interroga ancora una volta sulla responsabilità di noi giornalisti, nel diffondere storie in rete lavorando più sul profilo di cosa attragga che su quello della responsabilità.  E Maniaci, da giornalista, e da indagato dovrebbe essere il primo a ribellarsi, perché ne fa un ritratto che è la sua condanna. Mentre gioca a freccette con le immagini dei boss, non capisce che forse, il bersaglio è lui.

Un giornalismo che non cerca etichette nè storie facili da raccontare dovrebbe raccontare altro, se davvero vuole parlare di cos’è l’informazione in Sicilia oggi, della vita che fa davvero  chi scrive di mafia. Dovrebbe raccontare la storia di Riccardo Orioles. Ha 67 anni,  ha fondato il periodico “I siciliani” con Pippo Fava. Fava è stato assassinato dalla mafia. Lui, Orioles, ha avuto la disgrazia più grande – sopravvivere – e nonostante sia oltre che un formidabile giornalista un grande intellettuale oggi sopravvive di stenti, senza una pensione, perché ha sempre più pensato a scrivere e ad insegnare il mestiere a tanti giovani giornalisti che a badare a se stesso. Su Change.org, la piattaforma on line, è partita una petizione per chiedere che ad Orioles venga riconosciuto il vitalizio della legge Bacchelli, ovvero il sostegno che lo Stato italiano garantisce a intellettuali ed artisti di valore quando  sono in condizioni economiche disagiate. Orioles merita quel vitalizio, merita tutto il nostro rispetto, e meriterebbe l’attenzione di tutti, Cnn in testa.

About the Author:

Giacomo Di Girolamo
Giacomo Di Girolamo, giornalista. Mi occupo di criminalità organizzata e corruzione in Sicilia da più di 20 anni. Sono direttore della radio più ascoltata della provincia di Trapani, Rmc 101, e di un portale molto letto in Sicilia, Tp24. Miei articoli sono usciti su Repubblica, Il Sole 24 Ore, Domani. Collaboro anche con Linkiesta.  Sono autore della biografia del boss Matteo Messina Denaro: L’invisibile (un'edizione aggiornata è uscita nel 2023), di Cosa Grigia (il Saggiatore 2012, finalista al premio Piersanti Mattarella), Dormono sulla collina (il Saggiatore 2014), Contro l’antimafia (Il Saggiatore, 2016).  Per Laterza ho scritto "Gomito di Sicilia" (2018), per Zolfo "Matteo va alla guerra" (2022) e "Una vita tranquilla" (2004). Per le mie inchieste ho vinto nel 2014 il Premiolino, il più importante premio giornalistico italiano, e, nel 2022, sotto l'alto patronato della Presidenza della Repubblica, il Premio Nazionale "Paolo Borsellino". Ho raccontato la mia vita in un podcast per Audible, "L'isola di Matteo".