Altra puntata della nostra inchiesta sul “sistema Licata”. Il principale imprenditore del settore turistico, e non solo, di Marsala, Michele Licata, è stato raggiunto da un provvedimento di sequestro preventivo di beni, conti correnti e società intestati a lui e ai suoi familiari per un valore di 127 milioni di euro.
Un sistema – secondo le indagini di Procura e Guardia di Finanza – che ha permesso a Michele Licata, re delle strutture turistiche a Marsala – di evadere tasse per 9 milioni di euro e ottenere illecitamente fondi europei e nazionali per 6 milioni di euro. Evasione fiscale, truffa, riciclaggio, falso, sono i reati di cui è accusato Licata, e a vario titolo anche i suoi familiari. Negli ultimi giorni per lui è arrivato il maxi sequestro preventivo a beni, società e conti correnti per 127 milioni di euro. Il sequestro più consistente fatto in Italia per “pericolosità” fiscale. Si tratta di un sequestro preventivo a confisca, significa che i beni di Licata e familiari passano allo Stato.
Questo sequestro si accavalla a quello dello scorso Aprile, da 113 milioni di euro. Un sequestro per ‘equivalente’, era quello, un’indagine che ha scoperchiato un sistema volto all’ottenimento di fondi e all’evasione fiscale.
Un sistema che si basava – secondo l’inchiesta della Procura -su una rete di imprenditori che emettevano fatture gonfiate o addirittura per prestazioni mai effettuate, quindi fatture false.
Aziende e imprenditori che dichiaravano zero ma che emettevano fatture per beni e servizi da milioni di euro al Gruppo Licata. Fatture per prestazioni inesistenti, ha poi accertato la Guardia di Finanza.
Il sistema Licata si basava anche su imprenditori che avevano problemi economici, e a chi permetteva il gioco della fattura fasulla veniva dato, da quello che è emerso nell’inchiesta, una ricompensa del 2-3% sull’importo fatturato. Fatture che servivano, secondo quanto emerge dalle indagini, non solo per evadere le tasse, non solo per allegarle alle richieste di contributi pubblici da parte delle società del Gruppo Licata, ma anche per avere del denaro contante. Semplice, venivano emessi degli assegni per il pagamento delle fatture false, assegni che venivano riscossi dal fornitore che poi girava il contante allo stesso Licata.
E’ tutto scritto nel capitolo che riguarda il rapporto tra Licata e l’Ispe di Giacomo Bongiorno (anche lui indagato nell’inchiesta di aprile).
La Procura rileva che dal 2005 al 2013 l’azienda che si occupa di forniture di polistirolo ha dichiarato dei volumi d’affari molto più bassi rispetto alle fatture emesse alle società di Licata. In questo periodo il volume d’affari dichiarato è di circa 1 milione 150 mila euro, mentre risulta l’emissione, nei confronti delle società del “Gruppo Licata”, di fatture per un importo complessivo pari a euro 12.746.228,43.
Interrogato dalla guardia di finanza Bongiorno ha raccontato che le fatture si riferiscono a “forniture di sagome di polistirolo espanso e polistirolo espanso in genere mai effettuate”.
Ha spiegato anche che le “fatture sono state emesse a titolo di cortesia e su richiesta del Licata Michele Angelo innanzi generalizzato, a fronte di un compenso pari al 2%-3% del fatturato fittizio”. Questo passaggio è importante, anche perchè Bongiorno premette che in quel periodo aveva difficoltà economiche, e il giochetto gli serviva. L’ideatore e il proponente, ammette, era Licata. “Ricordo che nel corso dei rapporti commerciali intrattenuti con il Licata Michele, lo stesso mi chiese se io ero disponibile ad emettere delle fatture relative ad operazioni inesistenti dietro un compenso del 2-3% sull’imponibile della fattura emessa. Io, alla luce delle difficoltà economiche della mia azienda, ho acconsentito a tale proposta e così nel corso degli anni ho emesso le fatture che mi contestate”.
La Procura annota che le fatture attive emesse negli anni 2006 e 2007 nei confronti delle società del “Gruppo Licata” e risultate annotate nella contabilità della “I.S.P.E. S.a.s.” sono relative a forniture realmente effettuate. “Tuttavia, in sede di riscontro documentale presso la Roof Garden Srl, sono state rinvenute ulteriori fatture considerate relative ad operazioni inesistenti”.
Bongiorno racconta gli inqurenti anche le modalità di pagamento del compenso, e le modalità di restituzione del denaro a Licata.
“La suddetta percentuale (quella del 2-.3%, ndr) mi veniva pagata dal Licata Michele con assegni, raramente con denaro contante e qualche volta con bonifico; allorquando il Licata aveva la necessità di reperire denaro contante mi contattava consegnandomi degli assegni quale pagamento delle fatture false emesse; detti assegni erano tratti dalla Banca Intesa e da me negoziati, alla presenza del Licata, presso la citata banca; provvedevo quindi a negoziare il titolo ritirando il denaro contante che consegnavo poi al Licata. Preciso che generalmente tali assegni non corrispondevano mai all’intero importo delle fatture emesse ma rappresentavano degli anticipi. Infatti, alla data odierna, da un eventuale controllo della contabilità del Licata o meglio delle società a lui riconducibili emergerebbe che le stesse sono debitrici nei confronti della mia società relativamente alle fatture emesse per operazioni inesistenti. Qualche volta le operazioni che vi ho sopra descritto sono state fatte presso la Posta Centrale di Marsala. Ritengo che nelle circostanze che ho sopra ricordato il Licata si fosse preventivamente accordato con il funzionario di banca presso il quale eseguivamo l’operazione. Posso aggiungere che si trattava di operazioni fuoriconto”.
Infatti emerge che le società del Gruppo Licata, nel periodo dal 1/1/2006 al 31/12/2013, hanno evidenziato, nella loro contabilità, una rilevante esposizione debitoria nei confronti della “ I.S.P.E. S.a.s. “ pari a complessivi € 5.794.973,78. Non è invece emerso che la società creditrice abbia mai intrapreso una qualsiasi azione legale volta alla soddisfazione delle proprie pretese. E questa sarebbe un’ulteriore prova della presenza di fatture fittizie.
Fatture servite, secondo l’inchiesta di Procura e Guardia di Finanza, a detrarre un’iva mai pagata, ad ottenere contributi pubblici, da parte dello Stato e dell’Ue per interventi nelle strutture del gruppo Licata. Il sistema era ben oliato, si avvaleva di imprenditori compiacenti, che magari erano in difficoltà economiche. Alcuni però non sapevano nulla di quello che accadeva con il proprio libretto di fatture. Ma questa è un’altra storia