Quello dell’imprenditoria cinese in Italia sembra essere un fenomeno che non conosce crisi. L’attività è in continua crescita e, mentre durante il 2013 le imprese italiane sono diminuite dell’1,6%, quelle cinesi sono aumentate ancora del 6,1%. Si è raggiunta così la cifra di 66.050 imprese cinesi presenti nel territorio italiano. Secondo i dati presentati dalla CGIA di Mestre, degli oltre 708 mila imprenditori stranieri, la Cina è il terzo paese di provenienza, preceduta dalla Romania con 67.266 attività e dal Marocco, che con 72.014 imprese, si classifica al primo posto.
L’aumento della presenza di attività cinesi all’interno del contesto italiano è da ricercarsi nella spiccata indole imprenditoriale dei cinesi stessi.
La possibilità di avere accesso a materiali a prezzi ridotti e di usufruire di una manodopera a basso costo sono alcuni tra i fattori che trainano lo sviluppo dell’imprenditoria cinese.
I settori più interessati dalla presenza degli imprenditori cinesi sono il commercio, con 24.047 attività (anche tra i venditori ambulanti), il manifatturiero, con 18.204 imprese (soprattutto tessile-abbigliamento e calzature) ed infine la ristorazione.
Per quanto concerne la Sicilia, secondo i dati della CGIA, al 31 dicembre 2013 le imprese cinesi erano 2499. Rispetto al periodo precedente, ciò si traduce in un incremento del 31% tra il 2008 ed il 2013. Su scala nazionale, la Sicilia contribuisce con un 3,8% al totale delle imprese cinesi attive.
Al primo posto si classificano la Lombardia con 14.093 attività e la Toscana con 11.882.
Differiscono, invece, i dati della Camera di commercio di Palermo che quantificano in 2686 le imprese cinesi operanti in Sicilia. Al primo posto si piazzano Catania e Palermo, rispettivamente con 772 e 692 imprese. Sono 201, invece, le attività in provincia di Trapani.
I prodotti cinesi risultano essere molto più economici rispetto ai corrispettivi italiani, in alcuni casi a discapito della qualità del prodotto. Tuttavia, spesso i consumatori, soprattutto in un periodo di crisi economica, sono maggiormente propensi ad acquistare un prodotto di prezzo inferiore, indipendentemente dalle qualità dello stesso. Ed è proprio lì che risiede la fortuna degli imprenditori cinesi.
Spesso accusati di sfruttamento della manodopera e di utilizzo di materiali di bassa qualità o addirittura nocivi, le imprese cinesi costituiscono ormai un fenomeno ben radicato a livello nazionale..
“Sebbene in alcune aree del Paese esistano delle sacche di illegalità che alimentano illavoro neroe il mercato della contraffazione – dichiara il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi – non dobbiamo dimenticare che imigranti cinesisi sono sempre contraddistinti per unaforte vocazione alle attività di business”.
Un ultimo dato interessante emerge dal rapporto della Cgia: rispetto al 2012, le rimesse, cioè l’ammontare complessivo di denaro inviato in Cina dai lavoratori cinesi presenti in Italia, sono diminuite.
Nel 2013 il totale è stato, infatti, di 1,10 miliardi di euro. Una cifra di gran lunga inferiore ai 2,67 miliardi di euro dell’anno precedente. Ciò indica che sempre più spesso i cinesi decidono di stabilirsi definitivamente in Italia e di non inviare più i loro guadagni al loro paese d’origine.
In merito al fenomeno, il presidente regionale di Confesercenti, Vittorio Messina, sposta l’attenzione sul concetto di legalità e dichiara: “È indubbio che il proliferare di queste attività qualche dubbio lo fa sorgere, soprattutto per l’impiego spesso in nero della manodopera, ma bisogna anche sottolineare che noi rappresentiamo pure i commercianti cinesi nel momento in cui svolgono correttamente la loro attività. La nostra proposta? Possiamo solo pretendere il rispetto delle regole, dagli italiani per primi, e spingere per combattere il fenomeno dei falsi e della merce contraffatta e impedire quelle distorsioni del mercato che rendono molti dei commercianti cinesi fuori concorrenza. E bisogna favorire l’integrazione perché in un momento di crisi gli unici segnali positivi sembrano arrivare proprio da loro”.