Ci sono stati giorni migliori per Gianfranco Becchina, il mercante di oggetti d’arte e imprenditore di Castelvetrano che di recente è stato raggiunto da un provvedimento di sequestro dalla Dia di Trapani. L’Antimafia basandosi su 30 anni di indagini e dichiarazioni di collaboratori di giustizia e dichiaranti ha messo i sigilli all’intero patrimonio riconducibile a Becchina, compresi beni dei familiari. Becchina, come abbiamo raccontato ieri, si è fatto notare soprattutto nella compravendita di opere d’arte, facendo base in Svizzera dove ha fondato una galleria d’arte. Ma proprio su questo settore gli sono piovute addosso le inchieste che più lo hanno scosso e che lo hanno posizionato, secondo gli inquirenti, affianco degli affari della criminalità organizzata. Ma non c’è solo l’arte nei tanti affari di Becchina. Cambia registro a partire dal suo ritorno a Castelvetrano.
IL RITORNO IN PATRIA
Gianfranco Becchina è un mercante d’arte conclamato negli anni ‘80, ha la sua galleria a Basilea. Fa affari con i musei di tutto il mondo. Ma manca qualcosa al suo pallottoliere. Dalla Svizzera Becchina decide di trasferirsi a Castelvetrano nei primi anni 80. A raccontare tutto è Tonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, noto per essere stato “amico di penna” di Matteo Messina Denaro. Incaricato dai servizi segreti Vaccarino iniziò una corrispondenza, con i soliti pizzini, con il capomafia latitante per provare a stanarlo. Vaccarino ha raccontato che nei primi anni ‘80 conobbe Becchina. Fu lo stesso mercante d’arti ad andarlo a trovare nel suo studio confidandogli l’intenzione di trasferirsi a Castelvetrano e chiedendo quali fossero le attività di cui potesse occuparsi. “Becchina mi confidò che il suo ritorno a Castelvetrano era visto positivamente da ‘amici’ di un certo peso… ebbi la sensazione che facesse riferimento a soggetti mafiosi”, rivela Vaccarino.
Gianfranco Becchina torna a Castelvetrano. E lo fa mettendo su imprese e acquistando immobili. Tra le iniziative imprenditoriali siciliane c’è la Atlas Cementi fondata nel 1987. Quattro anni dopo subentra nella società dell’Atlas Rosario Cascio, imprenditore di riferimento della cosca di Castelvetrano. La Atlas verrà confiscata nel 2011.
La famiglia Becchina partecipa anche alla società Demetra Srl, che produce pizze surgelate. La Demetra fallisce nel 2004, dopo aver ottenuto un contributo pubblico di 4 miliardi di lire con la legge 488. Contributo, scrivono gli inquirenti, in gran parte confluito nei conti di Becchina come corrispettivo della cessione di un terreno. Da quel fallimento e da quel contributo nei nacque un’indagine per truffa, ma Becchina e consorte ottennero l’archiviazione. Sulla Demetra, secondo la Dia, ci sarebbe stato l’intervento di Santo Sacco, “mafioso conclamato”, ex consigliere provinciale, e sindacalista, per “sopire” le istanze sindacali.
I rapporti tra Gianfranco Becchina e Santo Sacco erano anche di natura politica. E nel decreto di sequestro sono contenute alcune intercettazioni dalle quali emerge come il mercante d’arte avesse sostenuto alle elezioni del 2001 un candidato alla Camera con Forza Italia. Becchina, per le elezioni di 16 anni fa, avrebbe chiesto a Santo Sacco di “portare” voti a quel candidato.
PALAZZO PIGNATELLI
Il ritorno di Becchina a Castelvetrano non è solo pieno di attività imprenditoriali. La Atlas, la Demetra, e poi anche l’olio d’oliva con la Olio Verde. Ci sono anche acquisti di pregio. Tra tutti c’è Palazzo Pignatelli, nel centro di Castelvetrano.
Come Becchina riesca ad ottenere un palazzo così prestigioso lo racconta Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di cosa nostra, vicinissimo a Matteo Messina Denaro.
Racconta che su quel palazzo per anni ci sono state forti diatribe, che un certo Natale Ferraro aveva rilevato il palazzo “e a un certo punto fece la parte del leone”. Ferraro non era mafioso, racconta Siino, ma massone. Una volta rilevato il palazzo e altri beni dei Pignatelli, Ferraro “non ha lasciato nulla ai Messina Denaro… e per questo fu cacciato da Castelvetrano”. Poi arriva Becchina che nel 1990 rileva all’asta per 550 milioni di vecchie lire il prestigioso palazzo nel centro di Castelvetrano. “Se ha comprato quel palazzo – dice Siino – Becchina lo ha fatto con il consenso dei Messina Denaro, o per conto loro”.
Intervistato da una Tv canadese, nel 2006, Gianfranco Becchina racconterà che quel palazzo era in stato di abbandono, e che nei suoi progetti c’era quello di trasformarlo in hotel. I giornalisti strabuzzavano gli occhi, convinti di aver davanti un mecenate dal cuore grande.
I SOLDI PER MATTEO MESSINA DENARO
Una delle novità di questa operazione della Dia che ha portato al sequestro dei beni di Becchina sono le rivelazioni che fa Giuseppe Grigoli, socio di Matteo Messina Denaro nell’affare Despar e della grande distribuzione. Non è un “pentito” Grigoli, ma un semplice “dichiarante”. Racconta quello che sa. Ad esempio che avrebbe ricevuto da Becchina somme di denaro che lui stesso poi consegnò a Vincenzo Panicola, cognato del super latitante. “È venuta questa persona che doveva dare queste cose, e lui, avendo paura di incontrare a Panicola, mi ha detto: gliele fai avere. Era Gianfranco Becchina… Veniva non ricordo se ogni anno, o otto, nove o dieci mesi, non lo so… Però dai biglietti c’era scritto “anno X”, per dire, “2005, 2006, 2004”…».
Poi Grigoli ha aggiunto un nome, tenuto segreto dai magistrati: “Mi disse “quello che porta questo signore va a Matteo Messina Denaro””. Le buste di Becchina potevano contenere, secondo Grigoli, tra 80.000 e 100.000 euro, a volte in tagli talmente piccoli che il cognato del latitante aveva difficoltà a nasconderle nel giubbotto.
Nel fascicolo su Becchina ci sono anche le rivelazioni di Lorenzo Cimarosa, collaborante e parente di Matteo Messina Denaro, deceduto lo scorso anno. Cimarosa, tra le altre cose ha parlato dell’attentato intimidatorio a casa Becchina. Alcuni colpi d’arma da fuoco erano stati sparati verso il cancello.
Secondo Cimarosa quell’avvertimento era stato ordinato da Matteo Messina Denaro in persona come conseguenza per il mancato versamento di denaro in favore del capo mafia, come gli avrebbe raccontato Francesco Guttadauro, nipote prediletto del super latitante.
L’OMICIDIO CIACCIO MONTALTO
Sono stati in tanti a parlare, nel corso degli anni e di diverse inchieste, di Gianfranco Becchina. Le procure siciliane impareranno presto il nome di Becchina e seguiranno le ramificazioni che portano a lui. Indagheranno sulla sua attività principale, sulla compravendita di opere d’arte. Ma non solo.
Come quando nel 1993 il nome di Becchina spunta nell’inchiesta sull’omicidio del sostituto procuratore di Trapani Gian Giacomo Ciaccio Montalto, ucciso a Valderice nel gennaio 1983.
Rosario Spatola riferisce alla Procura di Caltanissetta che Gianfranco Becchina aveva fornito armi al fratello Calogero, che a sua volta le consegnò al boss Natale L’Ala, che le ha prestate a Mariano Asaro per uccidere personalmente il sostituto Ciaccio Montalto. Una circostanza non confermata dalle sentenze di quel procedimento. Precisamente i giudici hanno definito plausibile che Natale L’Ala avesse prestato l’arma fornitagli dai fratelli Becchina ad Asaro, ma escludevano che quest’ultimo l’avesse chiesta per uccidere Ciaccio Montalto.