“Un’inchiesta giornalistica è la paziente fatica di portare alla luce i fatti, di mostrarli nella loro forza incoercibile e nella loro durezza. Il buon giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere e se ne fa custode nell’interesse dell’opinione pubblica.”. Sono parole di un giornalista che il mestiere lo sapeva fare bene, Giuseppe D’Avanzo. Utilizzo spesso questa definizione quando tengo degli incontri pubblici sul mestiere del giornalista. E la utilizzo anche come stella polare: il nostro mestiere è questo, prendere un fatto, piccolo o grande, mostrarlo nella sua forza, consegnarlo all’opinione pubblica.
“La partita truccata”, il libro che ho scritto per Rubbettino Editore, e che racconta la storia di Andrea Bulgarella, è una vera e propria inchiesta giornalistica. Posso dirla alla francese: non ci sono cazzi. E’ proprio così. Quando l’imprenditore trapanese mi ha proposto questo lavoro ha fatto una premessa: lei si deve impegnare, mi ha detto. E io ho risposto: ma lei mi deva aprire il suo archivio. E così è stato. Dall’archivio, immenso,di Bulgarella, ho tratto il materiale per raccontare mezzo secolo di storia trapanese, e non solo, l’ho esaminato, verificato, riscontrato, ho scoperto cose che non conoscevo, e ho avuto fretta di scriverle, e scriverle bene, per consegnarle proprio all’opinione pubblica. Affinché le valuti, cerchi di capire, cerchi, soprattutto di sapere, senza aver paura di calarsi nella complessità delle cose. Perché le cose sono complesse: e dobbiamo mettercelo bene in testa.
Ci penso soprattutto perché il 5 Gennaio, che è il giorno in cui presenteremo questo libro – inchiesta a Valderice, alla Tonnara di Bonagia, ricorre anche l’anniversario della nascita di Peppino Impastato, che fu fatto ammazzare, nel 1978, dal boss Tano Badalamenti. Impastato era tante cose, ma soprattutto era un giornalista e aveva fondato una radio, Radio Aut, a Cinisi. Oggi abbiamo ridotto un personaggio complesso e profondo come Impastato a icona, immaginetta. Nelle scuole la sua figura è abusatissima quando si parla di mafia, e non sapete quante volte, per il fatto che “faccio” radio, vengo definito il “nuovo Peppino Impastato”.
Nelle stesse scuole dove si esalta Impastato, i ragazzi scrivono, senza che nessuno li corregga, Radio Out, anziché Radio Aut (Aut sta per “autonomia”). Ed è così che si perde la complessità delle cose, con questa memoria ridotta a sticker.
“La mafia è una montagna di merda” diceva Peppino Impastato. Con il coraggio di tre leoni. Primo: perché il reato di mafia non esisteva ancora nel codice penale. Secondo: perché aveva il mafioso a cento passi da casa sua. Terzo: perché era figlio di un mafioso. Oggi grazie a Peppino Impastato non abbiamo più bisogno di scriverlo, che la mafia è una montagna di merda, perché lo sappiamo già. E allora il mestiere del giornalista non è quello di scrivere slogan, ma di cercare in profondità nelle cose, immergersi come un palombaro tra le carte, tra la complessità delle cose, e cercare di riemergere con qualche verità, anche se dura, rude, inattesa. Questo ho fatto io con “La partita truccata”.