Quando mi dicono: ma chi te lo fa fare, perché non andavi a fare il giornalista in qualche altra parte d’Italia, in una bella redazione romana, in una tv milanese, anziché stare lì, in questo corno ottuso di Sicilia che è la provincia di Trapani, ma chi te lo fa fare? , io rispondo che, in effetti, me lo chiedo anche io, ogni giorno, e finché me lo chiedo vuol dire che sono vivo e vitale, nel senso che è in questo farmi la domanda ogni mattina, appena sono sveglio – ma chi me lo fa fare? – c’è proprio la risposta, che dura le 24 ore successive, fino alla prossima domanda.
Al di là della poesia, c’è poi una cosa che bisogna riconoscere: fare il giornalista in Sicilia vuol dire essere fortunati, perché qui, in questa isola, accadono cose, e che cose. Ma farlo in provincia di Trapani è proprio una botta di culo, mi si perdoni il francesismo, perché qui accadono cose che da altre parti si sognano. E insomma, alla faccia della resilienza e di tutto il bla bla resto-perché-le-cose-cambino io resto perché qui, tra Marsala e Trapani, tra Alcamo e Mazara, o Castelvetrano o Salemi, ogni giorno ci sono notizie, ma notizie di quelle che ti fanno dire: ah, che bello fare il giornalista, ma dalle altre parti d’Italia non si annoiano?
Ad esempio solo qui succedono cose di un certo tipo. Il settimanale locale Social, diretto da Vito Manca, e stampato in Trapani, nell’ultimo numero ha pubblicato tre pagine tre a pagamento e anonime contro due giornalisti della nostra provincia: Rino Giacalone, che non ha bisogno di presentazioni, e Marco Bova, firma di Tp24 e corrispondente di diverse testate e agenzie internazionali.
Prima di entrare nel merito, alcune osservazioni preliminari.
Che etica professionale ha il direttore di un giornale che pubblica tre pagine anonime contro altri giornalisti suoi colleghi? Ma davvero questo mestiere è caduto così in basso? Capita a tutti di criticare il lavoro di altri, e io sono il primo, ma, appunto, si critica, si mette firma o comunque si pubblica a nome della redazione, del direttore. E ci sta pure di ospitare un commento “contro” un articolo di altri, anche se già siamo in un campo scivoloso, o fare un’intervista (lo stesso Rino Giacalone si fece autore di un’ infelice intervista a Gaspare Panfalone, per replicare ad un articolo di Marco Bova su Tp24, ah, i casi della vita…) Ma addirittura pubblicare un commento di tre pagine a pagamento e anonimo contro articoli di altri giornalisti, di altri giornali, beh, francamente è disarmante. Ci fa tornare indietro di 30 anni. Ma Pippo Fava, Mauro Rostagno, Mario Francese, per citare tre che ci mettevano la faccia, che cosa sono morti a fare? Il loro coraggio non ci ha insegnato nulla? Spero che l’Ordine dei Giornalisti intervenga. Qui non è in ballo il diritto di critica, o il diritto di parola a chi non la pensa come te. Qui è in campo il concetto di giornale non come spazio di riflessione, analisi, e dunque produzione di senso, ma come lavatoio di interessi personali, tazebao a pagamento per regolare conti. Che poi pare una barzelletta: uno paga lo spazio, uno scrive, il terzo pubblica.
Altra osservazione preliminare. Si tratta di uno scritto anonimo. Un corvo, dunque, un delatore senza firma. Ma in realtà l’autore è facilmente individuabile: è l’avvocato Nino Marino, da Trapani, padre di Massimo, editore di Telesud. Come mai penso che sia Nino Marino? Primo,perché parla delle vicende del notaio Di Natale, che è suo cliente, e infatti lo chiama “il mio difeso”. Aiutatemi. Secondo, perché lo stile è il suo. Ma io dico, neanche il corvo sappiamo fare bene in questa terra? Che senso ha, firmarsi e non firmarsi, pagare uno spazio e non mettere la firma e poi farsi capire…
Infine, proprio lo stile. Tre pagine tre, in cui si capisce poco o nulla. C’è molta prosopopea, molto non detto, tanto livore.
Il merito, dunque, è questo: l’avvocato Nino Marino ce l’ha con la nostra testata, con altre testate che dai giochi di parole io non riesco a capire, con Rino Giacalone (mai citato direttamente nell’articolo: ma dove siamo, alla scuola media?) e Marco Bova per il modo in cui è stato trattato il caso del notaio Di Natale, la cui compagna, Giada Musillami, è stata arrestata su mandato della Procura di Trapani per aver passato droga ad un minorenne. Secondo Marino, Di Natale è innocente, è vittima di un accanimento di alcuni uomini della Procura con sotterfugi vari e i giornalisti non sanno fare il loro mestiere.
Ecco, il succo è questo. Io l’ho detto in tre righe, l’avvocato Marino ci mette tre pagine. Avrebbe potuto pagare molto meno, su Social.
Dico, per scrivere questo, cachinni annessi, c’è bisogno del sotterfugio delle pagine anonime a pagamento? Avvocato caro, non poteva chiamare i diretti interessati, i direttori delle testate, le redazioni, e chiedere un’intervista al suo assistito, o inviare una nota di precisazione? Io non ho seguito la vicenda di Di Natale, non lo conosco. Anzi, dirò di più, conosco di vista Giada Musillami, come tutti in un certo ambiente a Marsala, e mi fa un po’ di amarezza pensare a lei con il braccialetto elettronico mentre lo stalker della comune amica Antonella Lusseri è indisturbato. Se Rino o Marco hanno sbagliato, cosa che capita, ci sono mille modi per chiarire, integrare, replicare. Siamo qui per questo.
Così, a cosa serve? A distruggere la reputazione di un giornale che ospita quel commento, a far mostra di bella prosa (però inefficace: anche lì, un consiglio lo avremmo dato gratis…) e soprattutto a trasmettere ancora questa immagine di una terra dove torbide cose accadono, e chi scrive deve guardarsi non solo dagli anonimi che arrivano per posta, ma dai pseudo – anonimi che girano nei giornali.
Preso da curiosità chiamo l’avvocato Nino Marino in questione. Per capire, perché sono imbecille, e molti passaggi mi sfuggono. Al primo numero che compongo, mi risponde Massimo, il signor Telesud, il quale mi spiega con grande gentilezza l’equivoco nella mia numerazione e poi mi chiede: per cosa cerchi mio padre? Per sapere se è lui l’anonimo a pagamento su Social, dico. Certo che è lui, mi risponde. Si saranno confusi, o lui o Vito Manca, e la firma è saltata. Ciao, stammi bene.
Dopo chiamo Nino Marino, l’avvocatone. Mi presento, anche se ci conosciamo di vista, e specifico sempre (come devo fare con tutti i miei interlocutori trapanesi): non sono Giacomo Di Girolamo, quello di Trapani, sono l’altro, il marsalese. Ah, dica, mi fa. E niente, ho letto le sue tre pagine su Social, quelle a pagamento che anche senza firma sono sue, e volevo capire, avvocato, come mai queste pagine, io non lo capisco. Si, è mio lo scritto, mi dice. A me piace di più la carta, mi dice, ho 76 anni. Ho voluto narrare tutta la storia, aggiunge. Per carità, rispondo, ma anziché comprare pagine su un giornale per parlare male di colleghi e amici, che ci voleva a contattare i diretti interessati, le redazioni? L’avremmo pubblicata gratis, la sua replica. Anche perchè, avvocato, questa terra, che è la mia, che è la sua, mi sembra ferma a trenta anni fa, questo dire e non dire, nelle forme e nei modi, … anche Rino Giacalone, ma che cos’è?l’Innominato? Non lo citate mai per nome e cognome, e state sempre a girarci intorno.
L’avvocato si mette ad urlare. E poi mi dice, testuale: ma che cazzo vuole! E, allargando alla categoria, immagino, aggiunge: ma chi cazzo siete?
E mi chiude il telefono in faccia.
E io sono contento. Ho avuto, anche oggi, le risposte che cercavo.