L’anno nuovo porta con se buoni propositi, e i buoni propositi sono tanti. Da dove si comincia? Come regola, da quello che si ha accanto.
E accanto noi, in redazione, abbiamo questa piazza anomala, che si chiama “Largo San Girolamo” secondo la toponimia ufficiale, o “Piazza Palle” secondo l’uso nostro. Piazza palle, perché è un’area delimitata da lacune palle di marmo, legate da una catena, che fanno da dissuasori e delimitano anche la breve passeggiata. Passeggiata che serve ad avvicinarsi al fossato, che ospita una importante area archeologica. Accanto, un piccolo immobile, una specie di guardiola, quasi sempre chiusa. E poi gli aranci del giardino della scuola “Garibaldi”, con i bambini che durante la ricreazione si appiccicano ai vetri, curiosi di vedere cosa accade in strada, e di mostrarsi in pose buffe a chi passa.
L’avrò scritta, in quindici anni di onorato servizio su queste pagine, almeno una ventina di volte, ma è bene sempre insistere. E’ la cosiddetta teoria delle finestre rotte, che ormai sul web è diventata un classico. Insomma, ci arrivano pure i più duri di comprendonio. La teoria delle finestre rotte (nella versione che piace a me, quella meno “reazionaria”) dice così: se un vandalo tira un sasso, rompe il vetro di una finestra di un edificio pubblico, e questa non viene riparata, altri vandali si sentiranno in dovere di seguire il suo esempio. Se invece la finestra viene riparata, magari qualcuno dopo un po’ romperà un’altra finestra, ma prima o poi, ripara e ripara, si stancherà. Cosa significa? Che gli interventi di riqualificazione, e ancora prima di custodia del bene pubblico sono importanti, perché se un bene viene abbandonato, a catena, porta altri abbandoni, e degrado, e rifiuti, e criminalità. Se dimostriamo che invece abbiamo a cuore una piazza, un luogo, un edificio, porterà benessere, fiducia.
Ecco, Piazza “palle”, è la mia personalissima finestra rotta. Tra l’altro hanno cominciato proprio rompendo un vetro. Poi un altro. Poi il Comune si è stancato di ripararli, magari ci hanno fatto l’abitudine, e hanno messo un osceno pezzo di lamiera. Poi hanno rotto gli arredi. Poi hanno cominciato a spostare le palle. Che sono pesantissime. Spostate le palle, la piazza, nonostante un divieto grosso così (ma più dei divieti, servirebbe il buon senso…) è diventato un posteggio. Ci passo diverse volte al giorno. Ci sono macchine posteggiate, furgoncini. Nessuno al Comune di Marsala, che dista dalla piazza cento metri, ci fa caso. Io si.
Di fronte la piazza c’è un cantiere. Stanno costruendo, credo, l’ennesimo B&B /Ristorante/spa. Ho chiesto ai muratori se sono stati loro a spostare le palle e a trasformare la piazza in parcheggio. Mi hanno detto che non ne sanno nulla. Ho chiesto anche ad altri operai: nessuno sa nulla. La mia speranza è che i titolari dell’impresa di costruzione, a fine lavoro, ristabiliscano lo status quo ante, sistemino le palle al loro posto, certo, ma magari anche i vetri, le panchine, i rifiuti. Della bellezza di quella piazzetta loro sono i primi a goderne.
Non accadrà. Perchè in questa nostra città il più grande dei beni e degli interessi comuni non è mai paragonabile al più piccolo tra i personali interessi. Le piazze sono di nessuno. Le strade sono di nessuno. Se no non getteremmo rifiuti ad ogni angolo, magari. E invece ogni incrocio è una discarica, ogni piazza è un potenziale parcheggio, ogni cosa pubblica è cosa di nessuno.
Nell’anno che porterà Marsala a nuove elezioni, sarebbe importante ricominciare da un segno. E Piazza “palle” potrebbe essere un segno importante. Perchè poi accade questo, che recuperiamo, inauguriamo, restauriamo. E abbandoniamo. Da poco sono finiti i lavori eterni in via Andrea D’Anna. Tutto molto bello. Tutto molto inutile, se non ci interroghiamo cosa vogliamo farne. Prendiamo la chiesa dell’Itriella: inaugurata, aperta al pubblico, bellissima, un piccolo Spasimo, ci facciamo i concerti. Adesso è chiusa, cadente e abbandonata. O il Baluardo Velasco, una terrazza abbandonata. Ci rappresentano in pieno, questi luoghi, nel nostro essere belli e inutili.
Penso spesso a quella frase di Don Milani: “Che senso ha avere le mani pulite se poi si tengono in tasca?”. Allo stesso modo: che senso ha recuperare un pezzetto di città, se non lo si rende fruibile, utile, in qualche modo vivo?