Sono passati 25 anni dall’omicidio di Libero Grassi, l’imprenditore di Palermo che, in un contesto di estrema solitudine, non solo aveva denunciato i suoi estortori, ma aveva pubblicato anche un avviso a pagamento nei giornali, una “lettera al caro estortore”, invitando clamorosamente (ed educatamente) i suoi aguzzini a non presentarsi più da lui a richiedere il pizzo:
“Caro estortore. Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui.”
Nel 2006 ho partecipato ad un concorso indetto dalla cooperativa Solidalia, che premiava la migliore “lettera al caro estortore”. In memoria di Libero Grassi, chiedeva ai partecipanti di riscrivere quella lettera, magari aggiornandola ai nostri tempi. Ho vinto quel concorso con questo testo, che pubblico in memoria di Libero Grassi. Un testo che per me ha significato tanto, perché ho conosciuto grazie al premio “Libero Grassi” tante belle persone, perché il testo fu anche pubblicato da “Licchia” Coppola nella sua irriverente collana “I pizzini della legalità”, e perché ha segnato un grande spartiacque nella mia vita. Da quel momento ho deciso che avrei abbandonato la carriera di pubblicitario per dedicarmi a tempo pieno ad altre forme di scrittura, e al giornalismo. Ma insomma, ecco qui in calce la mia lettera al caro estortore.
Caro estortore,
ho deciso che pagherò.
Innanzitutto, comincerò col pagare le tasse. Non è che fino ad ora non l’abbia mai fatto…. però…. ecco, diciamo che l’ho fatto in maniera “creativa”. Da oggi invece denuncerò nella mia dichiarazione tutto – ma proprio tutto – quello che possiedo, senza prestanomi, senza intestare cose e beni a mio suocero, senza trucchi, senza occultare pezzi di patrimonio, senza fatturare in nero. E pazienza se il mio commercialista mi prenderà per stupido, se al circolo del tennis rideranno di me. Ho già deciso. Pagherò.
Di conseguenza, pago anche i servizi. Perché se dichiaro tutto, ma proprio tutto, mio figlio all’Università paga il triplo di contributi, e anche il dottore, le analisi, e i farmaci, mi sa che dovrò pagarli. E per condonare la villetta al mare saranno dolori… Però è così che funziona, per tutti, e così deve essere.
Anzi, ti dirò di più: pagherò anche i miei operai. Li metto tutti in regola. Se proprio non ce la faccio, vediamo, studierò qualcosa, un part – time, dei contratti a progetto… qualcosa mi inventerò. Ma non voglio più sfruttare nessuno, soprattutto gli immigrati. Avranno diritto anche loro a farsi una famiglia e un futuro, non credi?
E pago anche i fornitori: 60 giorni dall’emissione della fattura, puntuale. Come io pretendo dai miei clienti, d’altronde. Sono stanco di fare bidoni a mezza Italia.
E voglio cominciare anche a mettere la faccia nelle cose, a pagare le mie scelte. Non ne capisco niente di politica, ma il mio voto non è più in vendita. Giuro.
Solo una persona non pagherò mai, caro estortore.
Te.
Stupito di questo mia reazione? Stupito della sfrontatezza con la quale ti scrivo? Stupito del mio ragionare?
Non so se puoi capire, ma provo a spiegarmi.
Sai quando ti diagnosticano una malattia inguaribile, e tu ti scopri improvvisamente innamorato della vita? Sai cosa significa avere il rimorso per tutte le porcherie fatte, rimpiangere le occasioni sprecate, pregare il Signore per avere altro tempo per aggiustare il possibile, cercare un’occasione di riscatto?
Tu sei stato la stessa cosa per me. Perché tu sei un cancro, di più, una metastasi. Per me e la mia azienda, per i miei figli, il loro futuro, la nostra città.
Quando ti sei presentato, la prima volta, con i tuoi scagnozzi, che lontano un miglio si capiva cosa volevano, e se ne sono andati senza neanche parlare, perché alla malacarne basta solo la presenza…. Quando poi sei ritornato, con formale richiesta, ed un pizzino sudicio con una cifra (e che cifra…) e una data…. Io mi sono sentito morire. A chi chiedere aiuto? Al sindacato, alla polizia, al cielo?
Ho fatto finta di niente, come tutti, come sempre. E sono cominciati i primi “incidenti”.
Che giorni terribili… con tutti che mi guardavano e nessuno che mi aiutava, come se non sapessero…. ma ti ringrazio. Perché sono stato male, male davvero, ma ho capito poi alla fine che non sei tu l’ombra nella quale voglio scomparire. E che se il tuo era un ultimatum anch’io dovevo fare qualcosa. E così, eccomi qua.
Preferisco morire, ma non dartela vinta. Perché nel momento in cui ho capito la vigliaccheria del tuo ricatto, mi sono scoperto innamorato della vita, ma non di questa: di una vita migliore, della quale andare fiero, senza rimorsi, senza rimpianti.
Non sono stato mai onesto, neanche disonesto: come tutti, galleggio, cerco di fare il furbo. Ma tu, caro estortore, mi fai sentire migliore.
E se ti dico no non è né per coraggio, né per eroismo. E’ solo che mi annoia questa idea di Sicilia che avete voi, mi ha stancato.
Oggi non ti darò né soldi né niente. Solo questa lettera, che non contiene nessun invito alla redenzione, né qualche supplichevole richiesta di grazia. Solo parole, che ti avranno già stancato.
Magari domani tornerai. Tenterai di farmi del male, lo so, anche se ti ho già denunciato alle forze dell’ordine e all’associazione antiracket. Ma sono pronto a resistere. A resistere. A resistere. E a tenermi la mia anima per me.
Oggi sono un uomo libero.