Perché voi non sapete. Non sapete quanto siamo precisi. La precisione è tutto. Quando si parla, quando si spara. Noi mica diciamo «Capaci», «Via D’Amelio». Che è, il gioco del Monopoli? Noi non diciamo nemmeno «la strage di Falcone», «la strage di Borsellino», o insieme, come dice qualcuno: «la strage di Falcone e Borsellino». Noi non parliamo dell’attentatuni, che piaceva solo a Totò Riina come nome, né della «disgrazia di Capaci», come dice invece la mamma di quel frariciume di Giovanni Brusca. Noi siamo precisi.
E se proprio dobbiamo, ci piace ricordare tutto come fosse un dispaccio. Non ci vuole molto. È una paginetta esatta, pulita (precisa, appunto) che abbiamo mandato giù a memoria. Ce la ripetiamo come fosse un mantra, un percorso di meditazione.
Ci incoraggia nei momenti di sconforto, quasi sembra indicarci la via, la ripetiamo con piacere alla mamma, quando ce lo chiede. Ed è paradossale, no?, che gli unici che alla fine ricordano bene le cose siamo noi. Noi che abbiamo fatto la storia, che raccontiamo quei fatti come una pagina di un manuale.
LE STRAGI DEL 1992
Poche righe, dunque. E fanno così: Alle 18 circa del 23 maggio 1992 nell’autostrada che dall’aeroporto conduce a Palermo, in località Capaci, una violenta esplosione provocava la morte dei magistrati Dott. Giovanni Falcone e della moglie Dott.ssa Francesca Morvillo, degli agenti di polizia Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, nonché il ferimento degli agenti di polizia Paolo Capuzza, Gaspare Cervello, e Angelo Corbo, e ancora il ferimento di Giuseppe Costanza (autista del dott. Falcone) e il ferimento di alcuni occasionali presenti (Pietra Ienna Spanò, Oronzo Mastrolia, Vincenzo Ferro) e di due cittadini austriaci (Eberhard Gabriel ed Eva Gabriel).
La devastante esplosione ebbe a danneggiare diverse autovetture dello stato e di privati cittadini, nonché le strutture murarie di diverse abitazioni in prossimità del luogo dell’eccidio. Nel tratto di autostrada in questione si formò un cratere di oltre 10 metri di lunghezza e di 4 metri di profondità.
Che ve ne pare? Poi solitamente facciamo una pausa, più o meno lunga e drammatica, dipende dal pubblico, dal sentimento del momento, dall’ispirazione, e continuiamo.
Così. Cinquantasette giorni dopo la strage di Capaci, avvenne un altro gravissimo attentato finalizzato a uccidere il Procuratore aggiunto della Repubblica di Palermo, il Dottor Paolo Borsellino. Il pomeriggio di domenica 19 luglio 1992, il giudice Borsellino si era recato in Via D’Amelio per andare a fare visita all’anziana madre.
Era appena giunto davanti al portone dello stabile in cui abitava la madre, quando un enorme deflagrazione devastò l’intera strada. L’ordigno fu di tale potenza che l’esplosione, alle ore 16:58, fu registrata dall’osservatorio geosismico.
Nella circostanza morirono: il giudice Borsellino, gli agenti di polizia Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina ed Emanuela Loi. Rimase invece solamente ferito l’autista Antonino Vullo, l’altro appartenente alla polizia di stato addetto alla scorta del magistrato, che si era allontanato di qualche decina di metri per fare inversione di marcia con la vettura da lui condotta.
L’esplosione determinò, altresì, il ferimento di numerose persone che si trovavano nel raggio d’azione dell’ordigno esplosivo e una vera e propria devastazione della zona circostante, con gravissimi danni agli edifici prospicienti di quel tratto di strada ed alle auto che vi si trovavano parcheggiate. Amen. Com’è?
Permetteteci due precisazioni, a ogni modo. Innanzitutto, i luoghi. È Isola delle Femmine, non Capaci. Il luogo della prima strage è Isola delle Femmine, il territorio di quel comune lì, dove passa quel pezzo di autostrada chiamata A29. Solo che siccome c’era il cartello verde con la scritta bianca Capaci e la freccia che indicava l’uscita a destra, allora è diventata la strage di Capaci. E vabbè. E poi un’altra cosa. Falcone non era Falcone e Borsellino non era Borsellino, né Giovanni, né Paolo.
Per noi erano il dottore Falcone e il dottore Borsellino. Per i nemici ci vuole rispetto. Voi non sapete chi siamo. Siamo Cosa nostra, sì, la mafia, certo, siamo il vostro incubo, quattro caproni o un esercito. Ma siamo soprattutto i figli della mamma. La mamma allarga le sue cosce e ci genera, un piede a Castellammare e il suo golfo, un altro piede poggiato nel Belice dei templi e dell’olio buono. La mamma, la nostra mamma dal cuore tenero e dalla voce che sembra un tuono, è l’origine del mondo.
Del nostro mondo. Noi siamo i figli di questa mamma, di questa terra, che ci ha trasmesso l’amore come l’odio. Qui è l’origine di tutto, non lo capite? In questa terra inondata di luce c’è l’origine della nostra forza. Noi siamo i figli di questa mamma, e fratelli tra noi e fratelli di Matteo Messina Denaro, il nostro imprendibile capo. Eravamo con lui quando decise di fare la guerra.
Abbiamo valutato, studiato, organizzato. Abbiamo fatto le prove. Ci siamo fatti consigliare. Abbiamo obbedito. Tutto è nato qui, in provincia di Trapani; non a Palermo, non a Roma, ma in questo pittuso d’Italia, dal lato sbagliato dei vostri tramonti da cartolina. E tutto ci è servito a compiere un ricambio generazionale, e un salto di qualità, che è la storia meno raccontata e che voi non sapete. Noi abbiamo deciso, noi abbiamo organizzato, noi abbiamo ucciso.
Non da soli, ovviamente. E non solo nel nostro interesse. E voi questo neanche lo sapete. Forse non lo saprete mai.