Dalle notizie di comuni amici torinesi sapevo da tempo delle gravi condizioni di Gianmaria Testa. La sua morte giunge però ugualmente dolorosa, perché ci strappa un artista che aveva ancora molto da scrivere, suonare, cantare e farlo ai livelli piccoli ed eccelsi ai quali ci aveva abituato. Il suo album “Da questa parte del mare”, uscito dieci anni fa, è uno dei lavori discografici più profondi ed importanti sui migranti mai pubblicati in Italia. A me rimane il rimpianto di non aver mai raccolto l’invito ad andarlo a trovare, che mi aveva fatto tante volte, nella sua tenuta piemontese, e l’aver perso per la mia solita pigrizia alcune occasioni per vederci e parlare ancora un po’. Ma la musica non muore mai, la musica appartiene ai vivi. E dunque mi godo le sue canzoni, e ancora lo farò, pensando a quel pomeriggio d’estate quando il mio amico Marco mi fece conoscere, venti anni fa, questo strano ferroviere e musico che faceva impazzire i francesi ed era pressoché sconosciuto in Italia. O ancora quando, con Sergio ci siamo fatti sette ore di macchina per andarlo ad ascoltare, dall’altra parte della Sicilia, noi lieti pochi. Ciao, Gianmaria, avevi il passo e l’incanto. Ciao.