La vista è un dono, i libri sono il dono alla vista. E qui ringrazio, da lettore, Giosuè Calaciura per aver aver scritto Borgo Vecchio, romanzo epico senza eroi, storia che ci racconta di quei confini oscuri tra nascita e addio dei poveri cristi che abitano il ventre di tutto e di niente che è Borgo Vecchio a Palermo. E’ un libro matto, dove parlano i cavalli, dove soffia il vento, dove c’è chi si fa sberleffo della morte, chi invece si lascia trascinare nel fondo del fondo.
C’è, nella scrittura di Calaciura, qualcosa di potente e magico, che mi ha catturato sin dai tempi di Malacarne, libro per me fondamentale. E’ una scrittura che io non saprei mai ripetere o copiare, e rispetto alla quale sto in contemplazione come davanti ad una Pietà. E’ una scrittura che non finge, non ammicca, non gioca a farsi indovinare, – come capita invece ormai più spesso – ma lacera, penetra, schiaffeggia, risacca, sbanda, urla. E’ una scrittura viva.
Qui prassi vorrebbe che io citassi qualche passo del libro, un pezzetto di trama, qualche personaggio. Non ne è ho voglia e non serve. E’ un libro troppo bello per essere oggetto di parole di circostanza. Faccio una cosa per me inedita. Pubblico due pagine. Una storia tra le mille storie di questa vertigine liberata da Calaciura per farcela guardare nella sua più profonda intimità. E’ la storia del più misero tra i venditori ambulanti del borgo, l’uomo che vendeva una scarpa sola.