Una delle battute che preferisco fa così: “Quando ero piccolo mia nonna mi portò a mangiare in una trattoria all’aperto. Cominciò a piovere: ci misi tre ore a finire il brodo”.
Mi piace citarla in apertura di questa mia seconda parte del ragionamento sul maxi sequestro di beni per 127 milioni di euro al nostro concittadino Michele Licata, evasore da record, truffatore seriale – in base alle indagini della Procura – di contributi e finanziamenti pubblici.
Ieri ho parlato dei complici. La sintesi in un tweet: a queste cifre non sei un truffatore, sei l’esponente di un sistema criminale che si avvale di molti collaboratori. E ne ho tracciato anche dei profli.
Adesso parlo del brodo.
A proposito di ieri, mi ha scritto un sacco di gente: che coraggio, che coraggio, a fare tutte queste considerazioni, questo j’accuse. Bene, bravo. Bella penna.
In verità, il coraggio non ci vuole nel fare il bilancio a posteriori. Ce la sappiamo dopo, tutti, a fare la morale. Il coraggio ci vuole a raccontare le cose durante, mentre accadono. E in questo senso permettetemi di sottolineare il lavoro di questa redazione della quale faccio parte, perché negli anni noi, liberamente, sugli affari del concittadino Michele abbiamo raccontato, e tanto. Senza tirarci indietro. Quindi, ecco, era per rispondere a quelli che ieri mi dicevano: bravo. Qui non è una questione di coraggio, ma una questione di autorevolezza. Ci vuole autorevolezza, non solo coraggio, per dire queste cose qua. Noi ce l’abbiamo.
Torniamo al brodo, che poi è dove abbiamo chiuso ieri. Marsala, dicevo, è come tutta la provincia del Sud, un brodo primordiale dove si possono fare esperimenti criminali di ogni tipo, nella più assoluta quiete, compreso l’impero basato sull’evasione reiterata, sulla truffa, messo su dai vari Licata di turno. Per brodo intendo un contesto di morbidezza sociale, di opinione pubblica assente, di stampa amica, di politica accondiscendente e pronta a sedersi al tavolo, di sindacati miopi alla bisogna.
E allora, parlare dell’imprenditore nostro concittadino Licata e delle sue malefatte è un ragionamento monco, se non si ragiona sul brodo. Perché ci sono i complici, che sono quelli –lo abbiamo detto ieri – che fanno parte del sistema criminale, mettono il loro mattoncino nella costruzione.
Ma poi c’è tutta una comunità che fa da brodo.
Ecco, Licata è una specie di ossobuco. Noi marsalesi siamo il brodo.
Perché sapevamo, abbiamo sempre saputo, ce lo siamo detti, tra noi. Ma nulla abbiamo fatto non tanto per denunciare, quanto per mettere distanza, dire un “non ci sto”, un “preferirei di no”.
Quante cene di beneficenza, ritrovi sociali, iniziative di club service vari si sono tenute in questi anni nei ristoranti o negli alberghi del Gruppo Delfino o del Baglio Basile? E perché? Perché Licata faceva i prezzi migliori. Era l’amico di tutti, il generoso benefattore, uno che ti faceva fare una cena sociale con una manciata di euro (fritto caldo, primo, secondo di carne, frutta e dolce). Poi tu te la rivendevi al prezzo che volevi e il ricavato era la famosa “beneficenza”.Tutti sapevamo perché poteva fare qui prezzi: non pagava le tasse, teneva in nero la maggior parte dei lavoratori, il suo principale finanziatore era la Comunità Europea. Ma, al netto di qualche intossicazione alimentare, non importava.
Non importava ai club service che organizzavano le loro cene sociali, alle associazioni terzomondiste, come agli inossidabili organizzatori di tornei di burraco o alla Caritas.
Per dire, la prima volta che sono entrato al Delfino Beach Hotel – e credo forse l’unica – in vita mia è stata ad una cena di beneficenza, più di dieci anni fa. La organizzava Libera. Allargando il giro: coloro che avrebbero dovuto denunciare o controllare in questi anni dov’erano? Magari a farsi un giro gratis al centro benessere o a strappare un prezzo di favore per il matrimonio del figliolo…
Il brodo è anche la politica. Il sistema criminale di cui stiamo parlando investe tutti, soprattutto la politica. Voi direte: ecco qua, ora tira fuori di nuovo il fatto del consigliere comunale del Pd, Pino Cordaro. E invece no. Noi quello che dovevamo dire sul caso lo abbiamo detto. La reazione è stata quella che mi aspettavo: il silenzio.
E silenzio sarà anche adesso, lo so. Perché negli ammiccamenti, nei silenzi, nei compiacimenti della politica Licata ha trovato da sempre sponda. Ecco allora, un suggerimento al presidente del consiglio comunale, Enzo Sturiano: ma lo facciamo un bel consiglio comunale aperto su tutti i piani di lottizzazione approvati negli anni per conto delle imprese del gruppo Licata? Chi ha votato a favore, chi ha votato contro, che tipo di oneri di urbanizzazione sono stati previsti, cosa è stato fatto. Eh, presidente Sturiano, lo facciamo?
Se posso usare questi toni è perché ho l’autorevolezza che dicevo prima, quella che ti dà il racconto, la professione. E che mi fa dire, alla fine, questo: non ci sono alibi, in questa come in altre vicende. Non ci sono alibi. Perché noi tutte queste cose le abbiamo scritte. E ormai, il senso del mestiere nostro è proprio questo, non è cambiare le cose, ma quanto meno poter dire: era stato già scritto, l’avevamo detto, documentato, indicato per nome.
Non ci sono alibi nemmeno per i sindacati. Hai voglia a fare gli splendidi, adesso. A noi decine di ragazzi, negli anni, ci hanno raccontato di lavorare in nero per le imprese del gruppo Licata. Non volevano esporsi, ma chiedevano una tutela. Rivolgetevi al sindacato, era la nostra risposta, fate una denuncia e noi vi verremo dietro. Tutelatevi lì. No, non ne vogliono sapere niente, ci rispondevano quei ragazzi. Magari perché gli stessi sindacati splendidi splendenti nei comunicati stampa compiacenti sui sequestri, la lotta alla mafia, e materie affini, sono gli stessi che sfruttano altri ragazzi, facendoli lavorare in nero, anche loro, in uno dei tanti paradossi che ci tocca vedere in questa terra. Anche i piccoli sindacalisti della nostra zona, anche loro sono alla ricerca del “Michele Licata in se” che dicevo ieri.
Modello è, il nostro concittadino Michele, ossobuco gustoso che teniamo caldo e saporito nel nostro brodo. Lo sanno bene tutti quegli imprenditori del settore alberghiero di Marsala che due anni fa vollero proprio Licata presidente dell’associazione “Marsala Città turistica”. Noi fummo gliunici a far notare l’imbarazzo della scelta. Altrove basta l’ombra di una condotta illecita per essere espulsi da un’associazione di categoria. Qui da noi invece ad uno con tanto di curriculum criminale gli si dà la leadership. Per scrivere questo ricevemmo i soliti insulti e gli strali dell’allora assessore al Turismo di Marsala, Patrizia Montalto (si, ci fu un tempo, in questa città, in cui Patrizia Montalto era assessore…).
La verità è allora questa: che Michele Licata per noi è stato ed è punto di riferimento, modello, spirito imprenditoriale, guida. Uno così lo vorremmo Sindaco. Non potendo (ma perché no, poi?) lo studieremmo a scuola, esporremmo le sue realizzazioni in un museo, al Baglio Anselmi, magari al posto di quei quattro legni fradici della nava punica. Che sia da esempio il concittadino emerito Michele, perché è il nostro “uomo del fare”, quello che “comunque dà lavoro” , quello che “comunque a testa ci arraggiuna bona…” e via dicendo. E il problema non è neanche Michele Licata in se o in me. E’ il Michele Licata che verrà dopo. Già c’è. Lo sappiamo. E i molti sono già pronti a prostrarsi. A sedersi a tavola con lui. Il menù è sempre quello: ossobuco in brodo.
Giacomo Di Girolamo