Minacce ai sindaci; arriva in Parlamento un rapporto choc. Bombe, auto incendiate, aggressioni, minacce: complessivamente gli atti intimidatori contro sindaci, assessori, consiglieri e candidati sono stati 870 nel 2013, una situazione che si è andata aggravando nei primi quattro mesi del 2014, con 395 casi, per un totale di 1.265, ottanta al mese, quasi tre al giorno. E solo in 182 episodi si è potuto risalire agli autori. A questi risultati è approdata la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali.
La regione più colpita è la Sicilia, seguita da Puglia, Calabria e Sardegna. Sud ed Isole rappresentano il 63% di tutti i casi nazionali di minacce agli amministratori . Ma colpisce al nord il dato di Torino, 4,4% nella provincia, così come quello nell’area di Roma, 4%; in quella di Napoli il 5,3% dei casi. “Il ruolo di amministratore nel Sud e nelle Isole comporta certamente maggiori pericoli che nel resto del paese anche se non bisogna dimenticare che le ultime due vittime in ordine di tempo erano amministratori di realtà del nord Italia, Laura Prati, sindaco di Cardano al Campo in provincia di Varese e Alberto Musy consigliere comunale di Torino”, viene sottolineato nella relazione finale, approvata all’unanimità.
L’obiettivo prevalente delle minacce sono i primi cittadini, cui sono rivolti il 35% del totale degli episodi (446 casi). Dai dati forniti alla Commissione dalle prefetture, emerge che il 48% dei casi si è verificato in Comuni di oltre 15mila abitanti mentre un episodio su quattro in un piccolo comune (meno di 5.000 abitanti). Sardegna e Calabria sono le regioni dove sono più i casi in Comuni piccolissimi (meno di mille abitanti). La maggiore concentrazione di intimidazioni più gravi si è avuta in Puglia, dove si sono registrati i più numerosi episodi di auto incendiate (23%), incendi di beni privati (22%), il 38% dei casi con utilizzo di armi da fuoco e il 55% di utilizzo di ordigni esplosivi. In Sicilia si sono verificati il 25% dei casi di danneggiamento mentre la Campania ha il primato per le aggressioni (21%). La Commissione evidenzia inoltre “la vera cifra oscura del fenomeno, quello delle dimissioni, che con maggiore facilità sfuggono ad un accertamento cristallizzato: le dimissioni come effetto delle intimidazioni, del condizionamento pieno dell’attività politica ed amministrativa.
VESCOVI. Il segretario della Cei Galantino risponde al procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, che qualche giorno fa aveva accusato la stessa per i “silenzi” sulla mafia. “Roberti sa fare bene il suo lavoro ma in questo caso ha ‘toppato’, non lo hanno informato bene su quanto
stanno facendo tanti uomini di Chiesa”, ha detto ieri Galantino,
ricordando come, per fare un esempio, un documento della Conferenza episcopale calabra elenchi nel dettaglio quanto fatto su questo fronte.
“Tra i 36 mila sacerdoti c’è chi ha più o meno coraggio, chi ha la capacità di incidere di più o di meno. Ma parlare genericamente di silenzi della Chiesa su questi temi mi sembra esagerato e fuori posto”, ha detto Galantino replicando ancora alle affermazioni di Roberti nel corso di un’intervista al programma Rai ‘A sua immagine”.
Il segretario generale dei vescovi italiani ha puntato però il dito su quanti, nelle organizzazioni criminali, si servono della Chiesa per copertura. “Strumentalizzano la fede: pensano che pagando i fuochi artificiali o la banda del paese si sono rifatti una verginità. Restano peccatori, sono fuori dalla Chiesa, anche se pagano la banda”.
Monsignor Galantino sottolinea che “tutte le volte che la Chiesa vede questi comportamenti dentro o fuori di sé non può e non deve tacere”.
Quanto alla corruzione, altro problema che dilaga in Italia e che spesso è legato proprio alla criminalità organizzata, per Galantino “non è questione solo di leggi o di leggi ben fatte perché fatta la legge si trova il modo di aggirarla, anche elegantemente. C’è una questione culturale”. Infine Galantino ha definito il corrotto “l’icona dell’egoismo”.