Negli ultimi giorni ho vissuto momenti che vale la pena raccontare. Sono tornato tra i banchi delle scuole elementari della mia provincia — e ogni volta è stata una sorpresa nuova, inattesa, necessaria. Ho portato con me il mio libro, A scuola contro la mafia. Parole per cambiare, ma la verità è che sono sempre loro, i bambini, a portare qualcosa a me: domande, dubbi, curiosità, e quella capacità disarmante di chiamare le cose con il loro nome, senza giri di parole.
Alla Scuola primaria G. Verdi di Marsala l’accoglienza è stata calorosa, allegra, a tratti travolgente. I cartelloni preparati dagli alunni parlavano chiaro:
«La parola può sconfiggere la mafia»,
«Mafia? No grazie»,
«Vogliamo essere curiosi».
Parole semplici, ma che pesano più di interi discorsi istituzionali.
Insieme abbiamo lavorato su un’idea che per me rimane fondamentale: la mafia teme tutto ciò che la contraddice. E a contraddirla, ogni giorno, sono proprio la cultura, lo studio, la memoria, la bellezza, la responsabilità, la lealtà. I bambini questo lo capiscono subito. Capiscono che essere cittadini onesti non è un dovere astratto, ma un esercizio quotidiano, che comincia nelle piccole scelte: dire la verità, aiutarsi, non girare la testa dall’altra parte.
Le loro domande sono state serissime. A volte spiazzanti.
È questo che mi colpisce ogni volta: la capacità di andare diretti al punto. Senza paura, senza filtri, senza quella rassegnazione adulta che spesso ci blocca. Loro no. Loro chiedono, insistono, vogliono capire. E in quel voler capire c’è già un atto di ribellione.
Ho trovato una comunità scolastica attenta, coinvolta, pronta a lasciarsi interrogare. Ho visto insegnanti che fanno del proprio mestiere un gesto quotidiano di resistenza civile. Ho visto bambini fieri di poter dire, anche solo su un foglio colorato, da che parte stanno.
Il bello di questi incontri è che non si esce mai uguali a come si entra. Io per primo. Ogni domanda, ogni sguardo, ogni parola aggiunge qualcosa. Ricorda perché è necessario continuare a parlare di mafia proprio dove qualcuno pensa che non serva farlo: nelle scuole, tra i più piccoli, dove si costruiscono le prime idee di giustizia, legalità, solidarietà.
Perché lo dico sempre, e loro lo hanno capito al volo:
la mafia non ha paura dei grandi discorsi, ma teme la curiosità dei bambini.
Trema davanti a chi studia.
Si indebolisce ogni volta che qualcuno sceglie di essere leale.
E perde forza quando le nuove generazioni decidono di non ereditarne il silenzio.
A tutti i bambini e alle bambine che ho incontrato, ai loro insegnanti e a chi ogni giorno si impegna per una scuola più consapevole: grazie.
Siete voi la prova vivente che il cambiamento non è solo possibile — è già cominciato.