A Castelvetrano non c’è più la mafia.
Viva.
Lo vado leggendo da circa 48 ore in una miriade di post sui social. Di tono diverso, ma con un identico contenuto: Castelvetrano è la città di Matteo Messina Denaro, temibile boss latitante, era una città di mafia, poi però le persone si sono liberate, scegliendo di votare come Sindaco il candidato del partito degli onesti, i Cinque Stelle, e quindi la mafia ha i giorni contati.
Chi lo ripete più di tutti è il capo politico dei Cinque Stelle, Di Maio, che risponde così ad ognuno che gli chiede di commentare le elezioni:
“Abbiamo vinto a Castelvetrano il paese del boss Matteo Messina Denaro che aveva visto due anni fa il commissariamento del Comune per infiltrazioni mafiose”. Come dire: prima c’era la mafia, poi c’è stata la bonifica, e allora abbiamo vinto noi, gli onesti.
Siccome in tanti mi hanno chiesto come sia stato possibile che nella città di Messina Denaro, e dunque della mafia, e dunque del voto mafioso, abbia vinto il candidato Sindaco degli onesti, spiego qui alcune cose.
La prima, è che era probabile che i Cinque Stelle vincessero le elezioni. Perché avevano un candidato Sindaco. Direte: lapalissiano. No. Alle ultime elezioni, quelle interrotte dallo scioglimento per mafia del Comune, non ce l’avevano un candidato, perché si erano scornati tra loro fino all’ultimo. Quindi, se ce l’hai, un candidato sindaco, magari poi le elezioni le vinci.
La seconda: era probabile che i Cinque Stelle vincessero le elezioni amministrative di Castelvetrano perché, nell’ultimo anno e mezzo, la magistratura inquirente aveva messo fuorigioco – con provvedimenti che lasciano un po’ perplessi, ma tant’è – le prime, le seconde e anche le terze file della classe politica di Castelvetrano. Quindi, i Cinque Stelle erano quelli più organizzati e presenti sul territorio. Non avevano di fatto concorrenti.
La terza cosa, che è impopolare, ma va detta. La mafia, a Castelvetrano, come altrove, non controlla più il voto. Da tempo. Si, ci sono politici che hanno pacchetti di voti, ma per indegne storie di clientelismo e corruzione, non per mafia. Cosa nostra non è in grado di fare eleggere nessuno, come ci raccontano le ultime indagini, con gli stessi mafiosi intercettati che dicono al candidato che si presenta da loro: “Guarda che io più di una decina di voti non posso procurarti”.
Va anche detto, comunque, che alla mafia le elezioni non interessano perché la politica ormai serve a poco.
E poi ai mafiosi mica servono i corrotti. Lo dico a quelli del partito degli onesti. Servono i cretini.
Giovanni Falcone raccontava una simpatica storia. Una volta fu chiesto a un vecchio boss americano di spiegare cosa fosse la mafia, e lui rispose così: «C’è da nominare il nuovo procuratore capo e ci sono tre concorrenti: uno ha gli agganci politici giusti, uno è intelligentissimo, uno è un cretino.
Viene nominato il cretino. Ecco, questa è la mafia». Falcone lo sapeva bene: nonostante fosse riconosciuto pressoché unanimemente come uno dei giudici più competenti ed esperti in fatti di mafia, nella sua carriera si vide spesso scavalcato, se non mortificato, da colleghi impreparati, sciatti e fuori contesto.
Nei posti che contano, a Castelvetrano come altrove, i mafiosi cercano di mettere, quando ci riescono, dei cretini. Fanno tutto ciò di cui la mafia ha bisogno, in buona fede, e gratis.
Ce lo ricorda Giovanni Falcone. Mica un cretino.