Chi sono gli Accardo, la famiglia mafiosa di Partanna finita nell’inchiesta su mafia ed Expo

Chi sono gli Accardo, la famiglia mafiosa di Partanna finita nell’inchiesta su mafia ed Expo

2016-07-08T16:16:00+02:00 11th Luglio, 2016|dove sei matteo|

L’inchiesta di Milano sulle presunte infiltrazioni mafiose nella gestione di alcuni sub appalti dell’Expo 2015 ha fatto tornare alla ribalta la famiglia mafiosa di Partanna, centro del Belice, degli Accardo. Si tratta di un cognome storico per la mafia, che però, come tante altre dinastie, negli ultimi tempi ha subito un profondo declino: prima per la guerra di mafia, poi per le condanne pesanti e i sequestri (anche ai personaggi ritenuti a loro “contigui”) che ne hanno decimato gli uomini e il patrimonio. Eppure qualcosa rimane, se questa famiglia mafiosa riesce a fare capolino pure a Milano, nell’indotto dell’Expo. 

La storia degli Accardo, i “Cannata”, come vengono chiamati nella ‘ngiuria (il soprannome) che è tipico affibbiare da queste parti è strettamente legata a quella dei Messina Denaro, ed in particolare modo di Francesco Messina Denaro, il padre del super latitante Matteo, amico intimo di Totò Riina, e fautore con lui di quella guerra interna a Cosa nostra che, nel finire degli anni ’70, seminando centinaia di morti, portò i Corleonesi e i loro alleati – tra cui a Partanna gli Accardo  – alla guida della mafia siciliana. 

L’unico superstite di quella stagione è Rosario Accardo. Anziano e reso invalido da un ictus,  è l’unico ancora in vita tra i fratelli Accardo. Gli altri, Francesco e Stefano, sono morti uccisi in conflitti a fuoco  con la famiglia rivale degli Ingoglia.  I figli di Rosario Accardo, Nicola e Francesco, hanno già avuto alcune condanne.

Stefano Accardo fu ucciso l’11 Luglio del 1988, a Partanna Aveva 59 anni. Era davanti ad un bar del corso  quando gli spararono. Era già sfuggito a due attentati, uno dei quali sotto casa. In quell’occasione era stata la moglie, dal balcone, a vedere  i killer appostati vicino al portone di ingresso, mettendosi a gridare.  Il 29 giugno del 1987 era stato ucciso Francesco nella villa di proprietà di un gioielliere. In due anni la guerra di mafia tra gli Accardo e gli Ingoglia fece più di 30 vittime.

Gli Accardo avevano anche una sorella, Brigida, che si è sposata con Vincenzo Pandolfo. Nella storia della mafia belicina quello di Pandolfo è un nome importante. Era medico, e che medico: curava personalmente Francesco Messina Denaro, e per seguirlo, dato che il vecchio boss soffriva di diabete ed era malconcio, si è fatto un pezzo di latitanza con lui.

Legata alla storia dei “Cannata” Accardo è anche la vicenda di Piera Ajello, e di sua cognata, sorella del marito, Rita Atria, giovane e coraggiosa ragazzina di Partanna. Apparteneva ad un famiglia mafiosa, aveva visto da vicino la guerra di mafia, e dopo la morte del padre e del fratello decise, con Piera,  di raccontare tutto al giudice Paolo Borsellino. Qualche giorno la morte di Borsellino in Via D’Amelio, Rita Atria, sentendosi ancora più sola e abbandonata, decise di togliersi la vita buttandosi dal balcone di un appartamento del palazzo a Roma dove per sicurezza era stata trasferita. Grazie alle dichiarazioni di Rita Atria, comunque, gran parte della mafia belicina fu condannata nei processi per mafia che si tennero a Marsala negli anni ’90, “Cannata” compresi. «Prima degli anni ’80 – spiegò tra le altre cose Rita Atria ai giudici di Marsala – le attività fondamentali della cosca consistevano nei furti di animali, in illeciti interventi nella spartizione degli appalti, in una intermediazione nell’attività illecita che si svolgeva nel territorio… mio fratello Nicola mi riferì che negli anni ’80 aveva cominciato a circolare la droga e che mio padre, insieme agli Ingoglia, i Petralia, si erano opposti a tali traffici, ma inutilmente, poiché la decisione finale spettava sempre agli Accardo».

Rita Atria, tra gli altri, accusò di essere in combutta con gli Accardo anche Vincenzino Culicchia, storico sindaco democristiano di Partanna, deputato nazionale e regionale, politico di lungo corso. Culicchia affrontò un processo lungo nove anni alla fine del quale, nel 2000, venne assolto.  Su di lui gravava il sospetto di aver trescato con il capibastone della sua roccaforte elettorale, ricevendone appoggi. Dicevano i pentiti che regnando Stefando Accardo la stella di Culicchia brillava di riflesso. Dicevano che il deputato era «a disposizione» per piccoli e grandi favori.  Cliccando qui potete leggere la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Culicchia, che fa anche un riassunto della mafia del Belice e del potere degli Accardo.

Tornando ai giorni nostri, agli Accardo, secondo la Procura di Milano, sarebbe legato Giuseppe Nastasi, 40 anni, di Castelvetrano, amministratore, con Liborio Pace del consorzio di cooperative al centro dell’inchiesta (Dominus Scarl).
La «famiglia» di Partanna è citata nell’ordinanza di custodia cautelare  firmata dal gip milanese Maria Cristina Mannocci, che in relazione alla posizione di Giuseppe Nastasi (finito in carcere) ne sottolinea la notevole «importanza» nel panorama dei clan, anche per «la forte vicinanza con la famiglia di Castelvetrano Messina Denaro». Il giudice, infatti, riporta una serie di intercettazioni per dimostrare «la profonda conoscenza della storia mafiosa» da parte di Nastasi, ma «anche il riconoscimento di un profondo rispetto verso» lo stesso clan Accardo, «tanto da sentirsi in dovere di portare un regalo ai figli di Accardo Nicola».

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Giacomo Di Girolamo
Giacomo Di Girolamo, giornalista. Mi occupo di criminalità organizzata e corruzione in Sicilia da più di 20 anni. Sono direttore della radio più ascoltata della provincia di Trapani, Rmc 101, e di un portale molto letto in Sicilia, Tp24. Miei articoli sono usciti su Repubblica, Il Sole 24 Ore, Domani. Collaboro anche con Linkiesta.  Sono autore della biografia del boss Matteo Messina Denaro: L’invisibile (un'edizione aggiornata è uscita nel 2023), di Cosa Grigia (il Saggiatore 2012, finalista al premio Piersanti Mattarella), Dormono sulla collina (il Saggiatore 2014), Contro l’antimafia (Il Saggiatore, 2016).  Per Laterza ho scritto "Gomito di Sicilia" (2018), per Zolfo "Matteo va alla guerra" (2022) e "Una vita tranquilla" (2004). Per le mie inchieste ho vinto nel 2014 il Premiolino, il più importante premio giornalistico italiano, e, nel 2022, sotto l'alto patronato della Presidenza della Repubblica, il Premio Nazionale "Paolo Borsellino". Ho raccontato la mia vita in un podcast per Audible, "L'isola di Matteo".